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Suzanne Moore e il valore della ribellione

Cristina Marconi

La giornalista inglese ha lasciato il Guardian, “cancellata” da una petizione di 330 colleghi contro la sua “transfobia”

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Suzanne Moore ci ha pensato bene e alla fine se n’è andata dal Guardian, tempio liberal dove ha lavorato per venticinque anni come faro del femminismo militante. La Moore è un animale novecentesco, sempre pronto a confrontarsi e volentieri a scontrarsi, ma che davanti al rimpicciolirsi del dominio del dibattito e alla cancel culture dominante ha preferito andare a ruggire altrove. “Ho lasciato il Guardian. Mi mancheranno molto ALCUNE delle persone lì. Per ora è tutto quello che posso dire”, ha scritto su Twitter, cambiando subito la bio: “Se n’è andata perché conosceva il valore della ribellione”. E ha spiegato: “E’ stato interamente per mia scelta che me ne sono andata. Ve lo racconterò un giorno. Per ora grazie per i vostri gentili messaggi. Mi sembra di essere al mio funerale o qualcosa del genere”. Il motivo? Una petizione di 330 dipendenti del Guardian contro di lei, “delusi dalla decisione reiterata di pubblicare punti di vista anti-trans”. 

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Suzanne Moore ci ha pensato bene e alla fine se n’è andata dal Guardian, tempio liberal dove ha lavorato per venticinque anni come faro del femminismo militante. La Moore è un animale novecentesco, sempre pronto a confrontarsi e volentieri a scontrarsi, ma che davanti al rimpicciolirsi del dominio del dibattito e alla cancel culture dominante ha preferito andare a ruggire altrove. “Ho lasciato il Guardian. Mi mancheranno molto ALCUNE delle persone lì. Per ora è tutto quello che posso dire”, ha scritto su Twitter, cambiando subito la bio: “Se n’è andata perché conosceva il valore della ribellione”. E ha spiegato: “E’ stato interamente per mia scelta che me ne sono andata. Ve lo racconterò un giorno. Per ora grazie per i vostri gentili messaggi. Mi sembra di essere al mio funerale o qualcosa del genere”. Il motivo? Una petizione di 330 dipendenti del Guardian contro di lei, “delusi dalla decisione reiterata di pubblicare punti di vista anti-trans”. 

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All’origine c’è un problema ricorrente per molte femministe, ossia quel non sapersi piegare all’idea che il genere sia qualcosa che si sceglie e non che si delinea già nell’utero. A questa posizione già di per sé eretica – come dimenticare J.K. Rowling fiera con la sua maglietta “Questa strega non brucia” – si aggiunge la stravaganza di volerne parlare, di difendere le colleghe con cui non si è magari d’accordo dalla muta di “lanciatori di uova” su Twitter. E quindi quando a marzo Suzanne Moore ha scritto del caso di Selina Todd, la professoressa di Storia moderna al St Hilda’s di Oxford, “cancellata” da un convegno all’Università di Exeter per essere vicina a Woman’s Place, una lobby considerata “transfobica” dai gruppi Lgbt+ per richieste come quella che i rifugi e gli spazi protetti per donne siano aperti solo a quelle biologicamente tali, i 330 dipendenti del Guardian – mica solo giornalisti, anche tecnici, gente del commerciale o dell’amministrazione dalle sedi di tutto il mondo – hanno scritto una lettera sulla loro delusione e hanno precisato che dare spazio a questi punti di vista va a “interferire con il nostro lavoro” e “rafforza la nostra reputazione di pubblicazione ostile ai diritti dei trans e ai dipendenti trans”, tanto che in tre hanno deciso di andarsene nell’ultimo anno.

 

La direttrice Katharine Viner aveva risposto ribadendo l’importanza di un dibattito robusto, ma per Moore non è stato abbastanza, visto che mentre lei e la sua famiglia venivano bersagliate da insulti e minacce di stupro e di morte per un articolo intitolato “Le donne devono avere il diritto di organizzarsi. Non ci faremo mettere a tacere”, dal Guardian non è arrivato nulla. “Pensavo che qualcuno mi avrebbe chiamato per chiedermi se stavo bene, ma non l’ha fatto nessuno”, ha raccontato la Moore in un articolo, osservando con ironia che invece una donna trans si era licenziata dicendo che “le mie parole l’avevano fatta sentire non al sicuro”. Il fatto che proprio il Guardian sia finito al centro di un dibattito sulla libertà di espressione ha entusiasmato un giornale come il Daily Mail, secondo cui “un bastione del liberalismo e della tolleranza, e che va giudicando apertamente gli altri media, è stato colpito dal suo stesso petardo”. A Suzanne Moore hanno scritto parole di sostegno Irvine Welsh, la deputata Jess Phillips, e perfino il gruppo rock Primal Scream, urlo primordiale, che con invidiabile spirito di sintesi ha scritto che l’identity politics è una “maledizione” della sinistra e che con ogni caccia alle streghe del genere “si fa un regalo alla destra”. E’ da ieri che i Primal Scream sono alle prese con attacchi feroci.

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