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Il Foglio del weekend

Il vero James Bond

Michele Masneri

Ian Fleming e una vita tra i libri. Prima editore e collezionista, poi autore della celebre saga di 007, scritta soltanto “per distrarsi”

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Meglio il libro o il film? L’eterna questione. Molto più rari i casi in cui è meglio l’autore. Mentre ancora si compiange la dipartita dello 007 più leggendario, Sean Connery, mancato la settimana scorsa novantenne, si annunciano nuovi Bond in arrivo, aggiornati ai canoni più contemporanei: il prossimo, “No time to die”, uscirà in primavera, dice, e avrà un Bond femmina e di colore, la anglo-giamaicana Lashana Lynch.  E chissà cosa avrebbe detto Ian Fleming, inventore della saga, personaggio bizzarrissimo, scrittore quasi involontario. “Fleming cominciò a scrivere a quarantaquattro anni, perché prima aveva fatto altro”, dice al Foglio Matteo Codignola, editor di Adelphi, per cui sta curando la ripubblicazione di tutti i libri dell’autore britannico. “Era un personaggio stranissimo, con molte anime. Un ragazzo-bene inglese, discendente di una vecchia famiglia, figlio di un ufficiale caduto nella Prima guerra mondiale, e che come tutti all’epoca sognava una carriera militare. Si era iscritto a Sandhurst, l’accademia dove studiano gli eredi al trono. Prima ancora aveva fatto Eton, e con gran disperazione della madre era stato cacciato da entrambe. A un certo punto finisce pure in Tirolo, dove una coppia di inglesi expat eccentrici e coltissimi avevano aperto una specie di college privato, e lui è stato tre anni lì. Arrampicando, sciando, e leggendo tutto quello che trovava a portata di mano in varie lingue. Compresi, soprattutto, alchimia e occulto. A un certo punto si innamorò di un saggio di Jung su Paracelso, e cercò di arrivare allo psicanalista svizzero per tradurre il testo in inglese, e si mise sulle sue tracce con un’impresa da 007: ma come tante cose, o quasi tutte nella vita di Fleming, non andrà in porto”.

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Meglio il libro o il film? L’eterna questione. Molto più rari i casi in cui è meglio l’autore. Mentre ancora si compiange la dipartita dello 007 più leggendario, Sean Connery, mancato la settimana scorsa novantenne, si annunciano nuovi Bond in arrivo, aggiornati ai canoni più contemporanei: il prossimo, “No time to die”, uscirà in primavera, dice, e avrà un Bond femmina e di colore, la anglo-giamaicana Lashana Lynch.  E chissà cosa avrebbe detto Ian Fleming, inventore della saga, personaggio bizzarrissimo, scrittore quasi involontario. “Fleming cominciò a scrivere a quarantaquattro anni, perché prima aveva fatto altro”, dice al Foglio Matteo Codignola, editor di Adelphi, per cui sta curando la ripubblicazione di tutti i libri dell’autore britannico. “Era un personaggio stranissimo, con molte anime. Un ragazzo-bene inglese, discendente di una vecchia famiglia, figlio di un ufficiale caduto nella Prima guerra mondiale, e che come tutti all’epoca sognava una carriera militare. Si era iscritto a Sandhurst, l’accademia dove studiano gli eredi al trono. Prima ancora aveva fatto Eton, e con gran disperazione della madre era stato cacciato da entrambe. A un certo punto finisce pure in Tirolo, dove una coppia di inglesi expat eccentrici e coltissimi avevano aperto una specie di college privato, e lui è stato tre anni lì. Arrampicando, sciando, e leggendo tutto quello che trovava a portata di mano in varie lingue. Compresi, soprattutto, alchimia e occulto. A un certo punto si innamorò di un saggio di Jung su Paracelso, e cercò di arrivare allo psicanalista svizzero per tradurre il testo in inglese, e si mise sulle sue tracce con un’impresa da 007: ma come tante cose, o quasi tutte nella vita di Fleming, non andrà in porto”.

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“Poi torna a Londra, dove aveva uno zio banchiere, e si mette a lavorare in banca, ma anche lì non gli va bene, quando sembra che stia ingranando molla tutto, si mette a fare il giornalista e lo fa ad altissimo livello, va alla Reuters dove viene inviato in varie capitali, Berlino e Mosca. Lì riesce anche ad avere un’intervista con Stalin, che Stalin però cancella all’ultimo momento, con un bigliettino di scuse che è rimasto. Poi scoppia la guerra, e lui diventa una delle menti del controspionaggio della Marina, è chiaramente il periodo in cui accumula dettagli per i futuri Bond. Anche se in azione, a differenza del suo personaggio, non va quasi mai, perché lo fanno stare al comando, a Londra. E’ infatti troppo intelligente e troppo informato per rischiare di farlo cadere prigioniero. Ma da Londra inventa alcuni piani di una certa fantasia: grazie a un’operazione da lui studiata i servizi inglesi riescono a mettere le mani sugli archivi della marina militare tedesca, un’operazione che ha valore storico”.

  

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“Poi la guerra finisce, e lui pare che dica, scherzosamente, a un commilitone, con cui si scambiano wishful thinking sul loro futuro nell’Europa libera: ‘scriverò il più grande romanzo di spionaggio di tutti i tempi’. Ma sembra, appunto, la sparata di un giovane soldato. Dopo la guerra si rimette a fare il giornalista. Riesce ad ottenere dal Sunday Times di Londra, il giornale per cui lavora, finalmente una posizione solida, lo mettono al desk, ma lui subito pensa a una fuga. Chiede e ottiene nel contratto una clausola speciale: otto settimane di vacanze, da farsi ogni anno all’inizio dell’anno. Oltre le vacanze normali. E nel frattempo si compra Goldeneye, la villa in Giamaica dove scriverà tutti gli 007”.  

 
L’interesse libresco, in Fleming, è però prima editoriale-collezionistico.  “Comincia a comprarsi prime edizioni di volumi che secondo lui hanno cambiato la storia, per cui non solo opere famose ma anche documenti scientifici, saggi, e crea la Fleming Library, una piccola biblioteca di edizioni rare in cui viene stampata l’Interpretazione dei sogni di Freud, il Capitale di Marx, e poi anche una serie di documenti anche infimi, va detto. Queste edizioni prevedono che i volumi siano collocati in scatole nere molto eleganti, fatte fare ad artigiani sopraffini londinesi, e naturalmente diventano subito un oggetto di culto”. Ma la dimensione Franco Maria Ricci in Fleming era già venuta fuori prima. “Già quando era ancora alla Marina, mandava indietro i rapporti che i suoi aiutanti di campo gli mandavano, non perché contenessero informazioni sbagliate ma perché erano rilegati male o avevano una brutta carta. Convocò un type designer, un disegnatore di caratteri famoso a Londra, lo assunse, per creare documenti di guerra e dei volumi ‘che io possa prendere in mano’. Così il tipografo londinese venne arruolato e fece il militare alla Marina”, dice Codignola. E la Marina di Sua Maestà divenne per un po’ una stamperia d’arte.

  

Ai libri ci gira ancora intorno. “Nel frattempo anche della Fleming Library si stufò ben presto. Gli venne offerta una cifra notevole per rilevarla, ma lui niente, a un certo punto pianta lì anche quella. La storia di Fleming è una storia tutta di imprese a metà. Dopo la guerra rileva una piccola casa editrice, Queen Anne Press, la rilancia, c’è ancora, è degli eredi Fleming. E poi lancia un periodico che si chiama The Book Collector, che diventa la bibbia dei collezionisti”, dice Codignola.

  

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Nelle more di queste imprese tipografiche arriva finalmente il primo libro, questa volta scritto da lui. “In tre settimane a Goldeneye scrive una cosa stranissima, ‘Casino royale’”. E’ il primo della saga, uscirà nel 1952. “Libro di singolare stranezza. Già il Bond di carta è molto diverso da come l’abbiamo conosciuto. Non c’è azione, non succede praticamente niente. C’è una sola scena di una partita al casinò tra Bond e il cattivo Le chiffre, banchiere del Partito comunista francese e spietato giocatore. Un’atmosfera rarefatta e tesa, e non capisci bene dove sei. Non c’è quasi ambientazione, si svolge quasi nel vuoto: sembra il racconto di un sogno, o la descrizione di un caso clinico di Freud. E poi c’è una scena di tortura molto insistita e molto brutale, che disturba ancor oggi. E un epilogo che mai ti aspetteresti, con Bond che si innamora pazzamente della sua protagonista, piange d’amore”. C’è chi dice che Fleming fosse rimasto distrutto durante la guerra dalla morte della fidanzata caduta sotto le bombe, Muriel Wright. “E’ un libro molto peculiare, infantile, come una fantasia. Non si capiva bene che idee avesse per questo romanzo. Anche agli amici, i suoi amici che erano soprattutto degli snob, lo presentava come un’impresa hobbistica, o una porcheria”. Altri sostengono che il libro nascesse come diversivo dal matrimonio. Nel ‘52 infatti ha finalmente sposato la moglie Ann Charteris, di cui è amante da vent’anni, e che nel frattempo si è sposata con due lord, uno dietro l’altro. Quando divorzia dall’ultimo lord, è pronta a impalmare Fleming, che è contento, sì, ma anche assai preoccupato: sia di stufarsi, sia di dover mantenere questa donna “molto bella e intelligente”, dice Codignola. Il secondo marito di lei, lord Rothermere, tycoon dei giornali, era editore del Daily Mail. Mentre lei è ancora sposata col lui le nasce una bambina, che muore dopo poche ore, ed era figlia di Fleming. Fleming al momento del parto sta giocando a golf col lord cornificato. Le scrive delle letterine per consolarla (tutte le lettere tra i due sono state battute all’asta l’anno scorso da Sotheby’s).  

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“Ma era un mondo così, a quei tempi”, dice Codignola. “Il mondo era diverso, soprattutto in quella upper middle class inglese si faceva così. Non si faceva tanto lunga. Andavi a giocare a golf con l’amante di tua moglie. I sentimenti erano considerati un po’ da quartieri di servizio”. Fleming era “abituato alla vita da scapolo, coi club, la caccia, il golf, signorine compiacenti, un mondo totalmente maschile. Col matrimonio le cose si complicano, non sapeva da che parte cominciare e temeva soprattutto la noia. ‘Scritto per distrarmi da altre faccende’, c’è appuntato su un esemplare di Casino Royale. Come col lavoro, era terrorizzato di stufarsi subito”. 

 
Forse anche lei: quando finalmente si sposano, si prendono entrambi immediatamente dei nuovi amanti. Lui si butta sulla vicina di casa, che avrebbe ispirato il personaggio di Pussy Galore.

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Intanto il frutto di questo amore matrimoniale, il romanzo scritto per fuggire dalla noia delle nozze, arriva finalmente a Londra. “Fleming consegna personalmente il manoscritto a un leggendario editore, Jonathan Cape. Il quale aveva un problema. Aveva appena rifiutato con sdegno un altro manoscritto che aveva giudicato molto cheap, un certo 1984 di un certo Orwell. Quelle cose per cui un editore medita il suicidio per gli anni a venire”, dice Codignola. Cape non vorrebbe ripetere l’errore. “Sente che il libro di Fleming ha qualche possibilità. I suoi redattori dicono che ha potenziale ma serve molto lavoro, insomma le solite cose che scrivono i redattori. Sarebbe dunque un no, ma entra in gioco un autore di cui Cape si fida molto, che è Peter Fleming, fratello di Ian. Un autore di libri di viaggio molto importante all’epoca, e oggi dimenticato. Scriveva questi libri che erano un misto di eleganza e semplicità. I due non si adoravano. Peter era il suo contrario: bellissimo, cocco di mamma, era riuscito in tutto, una vita e una carriera lineare. Ian, si sa. Cape chiede a questo fratello: cosa dobbiamo fare con ‘sto ragazzo? Il fratello bravo legge il libro, consiglia un po’ di cambiamenti che il fratello non bravo ovviamente si rifiuta di apportare, e poi consiglia che sì, sia pubblicato. Cape si fa convincere, e lì comincia una esilarante contrattazione”, racconta Codignola.  “Fleming non si affida a un agente come avrebbe fatto chiunque,  ma appunto si presenta di persona. E bisogna pensare che Cape era un editore vecchio stile, alla Arnoldo Mondadori, non particolarmente sofisticato, ruvido, e gli mette lì una bozza di contratto. Fleming non fa una piega e tira fuori il suo contratto. Con tutte le specifiche del caso: ‘Come anticipo pensavo questo, il numero di copie che dovrebbe stampare è questo, per la copertina suggerirei questo’. Ma attenzione”, dice Codignola, “tutto ciò non deve far pensare che fosse un mitomane dilettante; e del resto  anche noi oggi riceviamo in casa editrice dei manoscritti con una copertina che ci viene già consegnata ‘in stile Adelphi’, secondo il mittente, e già un’immagine pronta, e fa piacere, ma anche un po’ sorridere; ma lì non c’era niente da sorridere, e infatti il libro uscì praticamente come voleva lui, anche se vendette meno del previsto, prima tiratura 4.000 copie. Ma il lettering della copertina lo scelse lui, e l’immagine pure”. 

 

Ma superato l’involucro, bisogna capire che ci volle un po’ di tempo perché Bond diventasse il Bond che conosciamo. Fleming disse infatti che imparò a fare gli 007 dopo i primi quattro, con una formula collaudata: metti su un’isola una spia, un cattivo, un missile, una bonazza discinta.  “Poi diventò un mestiere”, conferma Codignola. Ma quel primo Bond, rispetto al cliché successivo, “era più animalesco e brutale di quello che abbiamo imparato a conoscere” (a proposito di brutalità, tante lettere con la moglie sono a tema sadomaso, una “passione condivisa e nota dei due”). 

 

Fleming scriveva quattro ore al mattino e quattro al pomeriggio, in quelle settimane a inizio anno, e nel resto del tempo faceva molte ricerche. “Se doveva fare usare un’arma a Bond importunava i suoi amici dei servizi segreti per mesi, per capire esattamente quale pistola Bond avrebbe dovuto avere”. O anche per studiare altri aspetti della commedia umana, “i suoi amici avevano capito che aveva in mente qualcosa quando cominciò a invitarli al ristorante facendo domande strane, voleva capire esattamente come una signora espira il fumo di sigaretta. E poi  tutto sui vini, i cocktail, i vestiti, le auto. Insomma tutto quello che poi è diventato leggendario”, e in Fleming non era naturale ma frutto di ricerca, di una persona con molte insicurezze e inquietudini e più sfaccettata di quello che si pensa. “Anche il Bond delle origini paradossalmente era più simile a Craig, un po’ più trucido e sentimentale di quello impersonato da Sean Connery. Che era troppo bello per il personaggio inventato da Fleming. Talmente bello che poi ha oscurato completamente l’originale”, dice Codignola. Così gli ultimi 007 gli sembrano più filologici. E oggi che il nuovo vedrà Bond che si ritira a vita privata per essere sostituito da una giovane collega di colore, nessuno scompenso. “Non sono un purista, va benissimo”, dice Codignola; “semmai bisognerebbe chiedersi come mai il personaggio Bond attiri ancora tanto pubblico. E in futuro forse bisognerà metterci delle note, per spiegare un mondo completamente andato. Sarebbe bello però che qualcuno si cimentasse su questo tema, con un bel saggio”, dice Codignola. Lanciamo un appello, allora. Mandate all’Adelphi dei manoscritti, “ma brevi e divertenti”, si raccomanda. E va benissimo un word. Alla copertina ci penseranno certamente loro. 

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