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Lo slancio profetico di questo Papa è debole, troppo politico e poco escatologico

Sergio Belardinelli

Il declino di un papato. Le ragioni di padre Antonio Spadaro e qualche dubbio

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"Che tipo di governo è quello di Francesco, e come interpretarlo alla luce di questi anni?”: questa la domanda alla quale cerca di rispondere padre Antonio Spadaro in un saggio appena uscito sulla Civiltà Cattolica. Si tratta di un saggio complesso, indubbiamente ambizioso, dove vengono ricostruiti con maestria i presupposti dell’azione pastorale e di governo di Papa Francesco. Il punto di partenza è rappresentato dall’idea ignaziana, secondo la quale gli “esercizi spirituali sono per la riforma della persona e della chiesa”. Sulla linea del padre fondatore dell’ordine dei Gesuiti, Papa Francesco sarebbe impegnato in una riforma spirituale, la quale, essendo volta soprattutto a “riformare la persona dal di dentro”, sarebbe proprio per questo destinata a incidere profondamente anche sulle strutture. Come dice efficacemente padre Spadaro, puntare alla conversione è “un atto di governo radicale”, poiché, e questo mi sembra un po’ il punto centrale del suo saggio, “esperienza interiore, esperienza dogmatica e riforma strutturale sono tutt’uno”. Suggestive sono le pagine dedicate allo “svuotamento di se”, la famosa kenosis di cui parla san Paolo, come una sorta di criterio di validità di ciò che diciamo e facciamo, la base vera di quel “discernimento” (altra parola chiave del saggio) che dovrebbe guidare i nostri pensieri e le nostre azioni, dando loro consistenza ed efficacia spirituale, dogmatica e strutturale, in vista dell’edificazione della chiesa di Gesù Cristo. In questa prospettiva, non si tratta di elaborare accurate strategie pastorali o di riforma della chiesa (quanto tempo viene sprecato in queste attività!); meno che mai si tratta di abbracciare “l’ennesima ideologia del cambiamento”. Bisogna piuttosto farsi guidare dallo Spirito, fiduciosi che al momento giusto sarà lui a suggerirci che cosa dire e che cosa fare, senza aver nemmeno timore della nostra ignoranza, se questa significa, come dice san Paolo, consapevolezza di “sapere soltanto Gesù Cristo e questi crocifisso”, morto per tutti, affinché tutti possano avere la salvezza. In estrema sintesi, è alla luce di questa prospettiva che secondo padre Spadaro andrebbe letto il pontificato di Papa Francesco, non certo buttandola in “politica” come se le sue parole e i suoi gesti fossero “di destra” o “di sinistra”.

 

 

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Per dirla con le parole del Papa, non si tratta infatti di essere “collezionisti di anticaglie o di novità”, ma di essere testimoni autentici della parola di Gesù. Per questo, come dice padre Spadaro, il progetto di Francesco “è in realtà un’esperienza spirituale vissuta”. Premesso che quanto padre Spadaro dice del “governo di Francesco” e della sua ispirazione di fondo a mio avviso potrebbe essere detto, pur con qualche distinguo e magari basato su altre fonti, anche per i suoi predecessori: da Paolo VI a Giovanni Paolo II a Benedetto XVI; premesso altresì che sono pienamente d’accordo con padre Spadaro quando stigmatizza quei cattolici che pensano che Papa Francesco possa essere un pericolo “per l’ortodossia o per il cambiamento”; premesso tutto questo, persistono in me alcuni dubbi su alcuni aspetti del “governo di Francesco” che il bell’articolo di padre Spadaro non è riuscito a fugare e sui quali mi permetto di richiamare molto brevemente l’attenzione.

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Mi rendo conto ovviamente che Papa Francesco si trova di fronte a un compito immane. Non soltanto il mondo sembra sempre più estraneo a Gesù Cristo e alla sua chiesa, ma la stessa chiesa sembra attraversata da tensioni laceranti, che evocano in modo spesso terribile la tragica realtà del male. Eppure, prescindendo dai “frutti” concreti assai controversi che l’azione di Francesco ha prodotto in questi anni sia sul piano politico che dottrinale che pastorale (vedi i rapporti con la Cina, la riorganizzazione dei dicasteri vaticani, i sinodi sulla famiglia o l’effetto che le sue encicliche e i suoi discorsi hanno all’interno del mondo cattolico), ciò che Francesco mi pare che fatichi a comunicare è proprio il senso solenne e grandioso di una istituzione che vive e si riforma soprattutto grazie a Gesù Cristo, alla preghiera incessante dei suoi fedeli e alla conversione del loro cuore, non certo denunciando i misfatti della curia vaticana, mitigando il peccato con la misericordia o denunciando le storture della società contemporanea imputandole al mercato e al liberismo.

E’ in fondo anche questa una questione di “discernimento non ideologico”, come dice Spadaro. Nella denuncia appassionata e sacrosanta dei mali del mondo, primi fra tutti la guerra, la povertà, i disperati che cercano di sfuggirvi, l’inquinamento ambientale, c’è sicuramente la volontà di essere vicini agli “ultimi” che contraddistingue da sempre il magistero della chiesa e, soprattutto, le sue innumerevoli opere di carità; ho tuttavia l’impressione che la denuncia delle cause di questi mali che viene oggi dalla chiesa sia troppo “umana”. E’ un po’ come se, additando il mercato e il liberismo come i principali responsabili (imputazioni peraltro assai opinabili), venisse edulcorata la tremenda, tragica, serietà del male che viene denunciato. Con la conseguenza che lo slancio profetico della denuncia si indebolisce proprio per il fatto di apparire troppo legato alle logiche del mondo, al limite, troppo politico e troppo poco escatologico. Altra musica invece, lo dico di passaggio, quella che emana da Francesco che in piena pandemia, solo, in una Piazza San Pietro deserta, benedice eucaristicamente il mondo.

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