Una scena di Cenerentola a Parigi (Funny Face), un film musicale del 1957, diretto da Stanley Donen e interpretato da Audrey Hepburn e Fred Astaire

Chi sono questi book blogger

Giulia Ciarapica

In più di tremila si sono accreditati al Salone del Libro. Buone domande per capirli e buone ragioni per non averne paura

Tra polemiche grandi e piccole, alla fine anche questo Salone del Libro è giunto al termine. E a giudicare dai numeri (148mila spettatori) sembra che sia andata molto bene. Proprio tra i suddetti numeri, spiccano in particolar modo quelli che riguardano la categoria di book influencer e book blogger accreditati: complessivamente più di tremila. Un numero consistente, che non può passare inosservato. Ma dopotutto, il Salone Internazionale del Libro è un’occasione importante non solo per la promozione della lettura, ma anche un momento di ritrovo per addetti ai lavori e lettori. Già, perché che lo si voglia o no, i book influencer sono ormai a tutti gli effetti degli “addetti ai lavori”.

  

Interviste, recensioni, blog tour, give away, post e storie su Instagram, letture condivise su Twitter, l’attività del book blogger/ influencer è piuttosto complessa e non va sottovalutata (ve lo dice una che alimenta quotidianamente blog, social e chi più ne ha più ne metta). Di definizioni più o meno sprezzanti, da qualche anno a questa parte, se ne sono sentite parecchie nei confronti della categoria: ma chi sono questi blogger? Che linguaggio usano? Vogliono sostituirsi ai giornalisti culturali? Minacciano il lavoro dei librai? Sono competenti? Tutte domande legittime, beninteso, ma forse è il caso di sbrogliare qualche punto poco chiaro.

  

I book blogger e i book influencer, così come i book tuber, non sono mostri a tre teste, assetati di sangue e di inchiostro, pronti a spodestare il mondo della critica letteraria vecchio stampo. No, nessuno vuole prendere il posto dei giornalisti culturali, perché si tratta di un lavoro completamente diverso. È differente il linguaggio: ci si rivolge al lettore con più affabilità, lo si interpella cercando un confronto, stimolando il dialogo diretto sui social rispetto ad un libro o ad un autore, insomma si cerca di abbattere quella specie di “muro” che inevitabilmente si frappone tra il lettore e il giornalista che pubblica su carta stampata. È differente lo scopo: nessun blogger viene pagato per parlare di un libro, lo fa per il semplice piacere di condividere una passione. Ed è differente il modo in cui si gestisce lo spazio di pubblicazione e in cui si scelgono i libri da leggere. Insomma, nessuno di loro si sente Arbasino né Citati ma ognuno, in modo libero e consapevole, decide di aprire un blog per esprimere la propria opinione consigliando o meno un determinato libro.

   

Ora, questo è ciò che fa un book blogger o un book influencer serio. Ma, ça va sans dire, la rete è piena anche di blogger farlocchi: chi si fa pagare dalla casa editrice per scrivere una recensione, chi ripropone pari pari la sinossi del libro spacciandola per recensione, chi recensisce positivamente qualsiasi libro gli arrivi a casa pur di continuare a leggere gratuitamente. Questa è una precisazione doverosa ma in parte anche superflua, giacché in qualunque ambiente di lavoro – compreso quello culturale, che in questo senso non ha nulla da invidiare agli altri – si trovano persone competenti e preparate, coscienziose e oneste, così come si incappa in gente “improvvisata”, senz’arte né parte, pronta solo a sfruttare l’occasione favorevole fregandosene del lavoro altrui.

 

Ma la questione più importante è forse un’altra. Al di là dell’articolo sul blog, del post su Instagram o del tweet, cosa fanno i book influencer? Consigliano, promuovono, parlano e scrivono di libri. Sempre. Non solo molti book blogger, anziché richiedere libri all’editore, vanno direttamente in libreria ad acquistarli, ma quotidianamente stimolano il loro pubblico di lettori a recarsi a loro volta in libreria. Qualcuno ha confuso il ruolo dei blogger con quello di rivenditori (spacciatori?) di libri, credendo ingenuamente che i book influencer possano “rubare” il lavoro dei buoni, vecchi, sempreverdi librai. O quantomeno minarlo seriamente. Un po’ come se Chiara Ferragni minacciasse il lavoro delle sarte o di Dior, Armani e compagnia bella, ecco. No, non ci siamo. I book blogger, al contrario, consigliano i libri e invitano i lettori a comprarli. In libreria.

  

Quindi, cari tutti, non abbiamo nulla da temere: i book blogger restano dove sono – sui social e in rete – fanno ciò che devono – consigliare libri, dare opinioni oneste su ciò che leggono, stroncando quando serve – e tentano, con la loro aria un po’ scanzonata, divertente e divertita, di avvicinare anche i giovanissimi alla lettura. Perché ricordiamoci una cosa: finché continueremo a pensare che i libri e la letteratura siano un “affare per pochi intimi”, forse di strada non ne faremo poi molta. La letteratura è fatta dagli uomini, si rivolge agli uomini e parla dei problemi degli uomini. Chi “istiga” alla lettura in modo serio, competente e allegro, non può che essere lodato.

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