Occidente al collasso
Roma. “Ci hanno detto che siamo in guerra, ma nessuno ha avuto il coraggio di fare come Churchill e annunciare che non c’era altro da offrirci che sangue, sudore e lacrime”. Rémi Brague, tra i più grandi medievisti viventi, professore emerito alla Sorbona e cattedra “Romano Guardini” a Monaco di Baviera, solo lo scorso aprile descriveva al Foglio un’Europa che aveva ormai sviluppato “un talento straordinario nel favorire atteggiamenti suicidi”. “Io temo il collasso”, diceva ripercorrendo le stragi a Charlie Hebdo e al Bataclan, senza sapere con certezza dove avrebbe avuto luogo la mattanza successiva. “La paura di nominare il nemico è una vecchia tradizione. Si preferisce parlare vagamente di ‘ideologie’: usare il plurale è conveniente, un po’ come quando si parla di ‘religioni’”, dice oggi, dopo la strage della Promenade des Anglais a Nizza, in una conversazione con il periodico francese Famille Chrétienne. “Allo stesso modo – aggiunge – preferiamo utilizzare l’acronimo ‘Daesh’ anziché dire ‘Stato islamico’, per evitare di menzionare l’islam”. E’ tutto qui, in fin dei conti, il problema d’un continente spossato, divenuto suo malgrado teatro di attacchi devastanti negli aeroporti e nelle sale da concerto, sui lungomare affollati e nelle redazioni di giornali.
Il fatto è che, osserva Rémi Brague, l’uomo occidentale è incapace di reagire perché non è più abituato alla guerra: dopo il Secondo conflitto mondiale, infatti, “l’Europa ha sperimentato settant’anni di pace e di prosperità. Ci siamo abituati, consideriamo questa situazione come qualcosa che ci è dovuto, come un dato di fatto. La guerra, la fame e tutto il resto sono cose che riguardano gli altri”. Ecco perché “siamo affascinati dalla spettacolarità degli attacchi, dalle decapitazioni che lo Stato islamico ha messo in scena con grande cura e competenza. Ma tutto questo ci distrae dal vero problema”, visto che “la violenza è solo un mezzo che, come tale, prevede uno scopo”. Quale sia l’obiettivo finale, il medievista lo dice poco dopo: “L’implementazione, a livello mondiale, di una legislazione che poi altro non è che una forma o l’altra di sharia, capace di decidere sulla moralità individuale, la famiglia, l’economia. Forse, anche per governare il sistema politico”.