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Pannella, defensor fidei

Maurizio Crippa
Come un angelo necessario “intravisto un istante sulla soglia”, o un angelo sterminatore, o magari soltanto come un messaggero beffardo, con la sua lettera scritta a Papa Francesco, a mano e tremolante, Marco Pannella è venuto un’ultima volta a togliere la chiesa dai suoi imbarazzi.
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Come un angelo necessario “intravisto un istante sulla soglia”, o un angelo sterminatore, o magari soltanto come un messaggero beffardo, con la sua lettera scritta a Papa Francesco, a mano e tremolante, Marco Pannella è venuto un’ultima volta a togliere la chiesa dai suoi imbarazzi, da qualche eccesso di savoir-faire o di reticenza, dai “ci lascia una eredità umana e spirituale importante” di padre Lombardi agli amarcord di monsignor Paglia. Da Famiglia Cristiana che relega alle ultime righe il cruciale problemino: “E’ stato protagonista di battaglie deprecabili, che hanno cambiato l’Italia in peggio, più incivili che civili”, fino al cauteloso Avvenire che, più onestamente, ha rilevato i fatti: “Gli amici riferiscono di un messaggio lasciato negli ultimi giorni da Marco Pannella ai militanti radicali: ‘Ragazzi, niente tristezza, alla fine abbiamo vinto noi’”. Citato per ammettere che “c’è molto di vero in questo bilancio”. Poi è arrivato l’ultimo messaggio, a salvarli in corner dai non saper che dire e dagli imbarazzi, tutti nascosti dietro alla lettera al Papa. Ma poiché “ha vinto lui”, non basta incensarlo dopo, o millantarlo tra i fautori del “questa è la chiesa che piaceva a lui”. Pannella non era della schiera. E’ stato un’altra cosa, e altri avranno tempo per pensarci di più e meglio.

 

Ma non è male provare a ribaltare il punto d’osservazione. E riflettere che tante altre volte da quegli anni 70 e 80 terribili (perché, i 90 dove li mettiamo?) la funzione di quell’angelo sterminatore è stata paradossalmente, misteriosamente, quella di difenderla, la chiesa, da se stessa. Non per il preteso evangelismo sine glossa delle sue battaglie. Quanto per averla – consapevolmente, inconsapevolmente? Che importa – messa in guardia dai suoi vicoli ciechi. Come quando la chiesa italiana andò a schiantarsi contro il divorzio (legge e referendum) e Pannella la avvisava che tanti del suo gregge già se n’erano andati, e che difendere l’impalcatura del matrimonio borghese era un’ipocrisia, che non avrebbe salvato il sacramento e la famiglia. Diversamente, certo, sull’aborto l’attacco fu senza via di scampo: con Andreotti costretto, nei giorni di Moro, a non dimettersi e a firmare. Eppure anche lì, al referendum, suonava l’avvertimento alla chiesa su un mondo cambiato. E a staccarsi da certi eccessi di politicismo che non sarebbero più serviti a salvare, pasolinianamente, nessun popolo. Poi, negli anni, il suo anti-trattino-clericalismo, le sue grida contro la simonìa, il suo non aver nulla contro i cristiani, ma contro i clericali sì. Non contro i cattolici nello spazio pubblico, ma contro la troppa occupazione di qualche cardinale dello spazio pubblico. In questo, alto e secco, spuntava come un segnale stradale, di quelli che dicono: pericolo. Ma difese Andreotti, quando farlo fuori per mafia significava (anche) dare una legnata al Vaticano. O la curiosa storia minore, che però qualcuno ricorda, di quando l’Osservatorio laico sul Giubileo del 2000 messo su dai Radicali combatté (inutilmente) contro la decisione di Roma e del Vaticano di spianare la necropoli cristiana del Gianicolo, una delle vestigia più importanti dei martiri a Roma, per farci un parcheggio.

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Non è stato uno che si intrometteva per riformare la chiesa, ma un lontano, un avversario. Era il messaggero necessario che a suon di bastonate e di qualche intuizione profetica – visitare i carcerati è un’opera di misericordia corporale – suggeriva alla chiesa di star lontana dai forzosi schemi di reconquista delle piazze e delle urne, invece che delle anime. Un ruolo strano: ma la storia della chiesa insegna che i suoi difensori spesso arrivano da luoghi imprevedibili, e incredibili. Come quando fu al fianco di Wojtyla per salvare la ghirba a Saddam, a Tarek Aziz, mettendola in guardia da qualche incongrua deriva occidentalista. Luigi Amicone ha ricordato che quando voleva fondare un battagliero giornale e cercavano un direttore, magari un Ferrara, un uomo di grande realismo come don Giussani, “sorridendo sornione”, gli disse: ‘Ci vorrebbe un Pannella”. Così tanto era sicuro che la chiesa avesse bisogno solo di aria respirabile, e che quell’aria stava più altrove che non nel recinto dei programmi politico-culturali. “A noi basterebbe – disse – che ci lasciassero scrivere una paginetta, una paginetta soltanto”.
Ps. Sono solo appunti di storia, questi: qui non c’è da battezzare nessuno post mortem. Ma Dio volesse che un giorno quella croce stretta tra le mani, e non riuscire a staccarsene, capitasse a noi, ed esserne degni.

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