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L'errore di dare la colpa al cambiamento climatico per le nostre alluvioni

Luciana Rota

Piogge improvvise e maltempo non sono una novità in Italia. Eppure la cura del territorio, di fossi e boschi, basterebbe per prevenire gran parte dei danni

Piove governo ladro. Si diceva, si scriveva, si comunicava così quando accadeva qualche disgrazia imprevista e difficile da superare. Quando non si sapeva, soprattutto, a chi dare la colpa. Oggi la tendenza è un’altra e tira in ballo ancora il meteo. Con una variante. Da analizzare anche da un punto di vista sociologico. C’è l’alluvione: colpa del cambiamento climatico.

 

C’è invece da capire, andare oltre. Andando a fondo della questione, c’è un responsabile anzi più di uno, per le conseguenze di queste calamità naturali che – corsi e ricorsi storici – ci sono sempre state e sono state affrontate.

 


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Il primo indiziato è l’uomo, ma per la trascuratezza, quella del suo ambiente, non la Groenlandia, bensì lì dove vive. La sua natura. Una incuria che va avanti da troppo tempo e i conti poi tornano con i disastri che conosciamo. Postati quasi con orgoglio e manie di protagonismo sui vari social e ripresi dai media. Le grandi piogge improvvise e tutte insieme, il maltempo che non t’aspetti, magari anche nella stagione che non t’aspetti, c’è sempre stato. C’entra anche la luna (e non certo il governo della luna) che se influisce sulla marea…

 

Il secondo indizio è: la prevenzione che non esiste più. Perché due settimane dopo l’alluvione, tutto torna come prima, salvo la questua dei politici locali, per recepire fondi e risarcire i danni. E senza scomodare il governo, la prevenzione è cura del nostro ambiente da parte di tutti. Proprio di tutti. Senza scomodare europarlamentari green – nel tempo della green economy – la proposta è la cura e l’economia dei fossi.

 

Risposta troppo banale? Risponde Mario Zefelippo, agronomo, docente di Produzioni Vegetali all’istituto di agraria Gallini di Voghera, un’eccellenza dell’Italia che studia, un esperto che ricerca e sa guardarsi attorno. Lui che il suo territorio lo vive e lo osserva anche dalla bicicletta: dove il cambiamento si percepisce con maggiore evidenza. I fossi ben curati dall’uomo non esistono quasi più nel nostro Nord oltre il fiume Po: “Gli allagamenti hanno tante responsabilità. Il controllo delle acque di pioggia parte da coltivazioni agricole attuate razionalmente e dalle scoline (fossi di prima raccolta, ndr) dei campi mantenute attivamente dagli agricoltori. Prosegue con una rete di fossi di scolo che deve essere adeguata e tenuta in efficienza da enti vari (Consorzi, Comuni, Provincia, Regione). Nel caso dell’Oltrepò pavese (unico comprensorio della Pianura Padana ancora privo di una rete irrigua) manca chiaramente un coordinamento che sappia organizzare le diverse responsabilità per prevenire e per evitare gli errori, oltre che intervenire con tempestività”.

 

Chi deve fare cosa? Tutti. Il famoso processo industriale ha allontanato la gente dalle campagne e buttato nei fossi che non ci sono più o vengono dimenticati, l’intelligenza del preservare la natura prevenendo il maltempo e i disastri climatici.   

 

“È così – aggiunge Mario Maffi, enologo, rabdomante, autentico cultore del territorio e della natura – tutto quello che il contadino ha imparato in cent’anni di cultura, coltura ed esperienza oggi va a farsi benedire. Sono pochi quelli che ragionano sul futuro. Tutti vogliono tutto subito e non pensano alle conseguenze delle proprie azioni. Che nella natura più che mai hanno una logica. Un ragionamento. Certo, c’è da fare fatica”.

 

“Tenere in ordine i fossi non è cosa semplice e non dà apparente soddisfazione né economica né di immagine, come tenere i boschi in ordine, cosa che facevano i nostri nonni proprio in questi mesi di calma agricola, che non solo si procuravano la legna per scaldarsi d’inverno, ma preservavano i terreni collinari dalle frane, avendo cura per le radici di piante secolari che sono altri alleati dell’uomo nel proprio ambiente. Oggi se cammini nei nostri bellissimi boschi, ricchi di funghi, di tartufi, di castagne, di biodiversità… su strade antiche percorse dal Barbarossa di cui restano ancora tracce, trovi piante magnifiche invase dall’edera devastante per la sopravvivenza delle stesse, trovi alberi che interrompono la via caduti in un gelicidio di qualche anno fa… nessuno passa e cura. Eppure questo è il nostro patrimonio economico vivente”.

 

Piove e tutto finisce in un fosso che magari non c’è. Anche il maltempo: di un popolo di gente che oltre al governo ladro non vuole andare. Anzi sì: è colpa del cambiamento climatico.

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