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Viaggio al termine del Cinema Palazzo. "Perdiamo una pezzo importante di San Lorenzo"

Gianluca De Rosa

Il giorno dopo lo sgombero, nessuno crede al tavolo promesso dalla Raggi per risolvere la questione. E con il nuovo regolamento del Campidoglio sui beni indisponibili, sono decine le realtà cittadine che rischiano di chiudere

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Con la schiena in avanti, le mani che fermano il giornale adagiato sulla panchina di marmo di piazza dell’Immacolata, “la piazzetta” di San Lorenzo, Angela, 28 anni, legge sconsolata la cronaca dello sgombero del Cinema Palazzo. Ieri tra i tremila che hanno sfilato in corteo per le vie del quartiere per protestare contro la decisione della Prefettura, c’era anche lei, da alcuni anni residente qui e da tempo dirigente e giocatrice della squadra di calcetto della polisportiva San Lorenzo, una realtà popolare da sempre vicina al Cinema Palazzo. Il giorno dopo lo sgombero dice di essere più “triste e delusa” che “arrabbiata”. “Lì dentro – spiega – si facevano tante cose, era un luogo bellissimo, di aggregazione: il quartiere ha perso un pezzo importante e non è giusto”.

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Con la schiena in avanti, le mani che fermano il giornale adagiato sulla panchina di marmo di piazza dell’Immacolata, “la piazzetta” di San Lorenzo, Angela, 28 anni, legge sconsolata la cronaca dello sgombero del Cinema Palazzo. Ieri tra i tremila che hanno sfilato in corteo per le vie del quartiere per protestare contro la decisione della Prefettura, c’era anche lei, da alcuni anni residente qui e da tempo dirigente e giocatrice della squadra di calcetto della polisportiva San Lorenzo, una realtà popolare da sempre vicina al Cinema Palazzo. Il giorno dopo lo sgombero dice di essere più “triste e delusa” che “arrabbiata”. “Lì dentro – spiega – si facevano tante cose, era un luogo bellissimo, di aggregazione: il quartiere ha perso un pezzo importante e non è giusto”.

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A piazza dei Sabelli, dove si trova l’edificio sgomberato, il dispiegamento di forze dell’ordine è ancora ingente: sulla piazza stazionano 4 blindati e decine di poliziotti e finanzieri in tenuta antisommossa. Daniele, scultore 46enne, che a pochi metri, su via dei Volsci, ha una ciclofficina è rassegnato: “Ieri si è visto che lo Stato difende sempre e comunque la proprietà privata: sembrava fosse arrivato l’esercito. Mi dispiace molto perché il Cinema Palazzo era una bella realtà, anche se da un po’, come succede sempre a sinistra, si erano chiusi un po’ troppo”. Al bar proprio dirimpetto al Cinema palazzo, da dietro un pannello di plexiglass installato sulla cassa l’anziano titolare, nella versione di un poco solidale Scrooge Sanlorenzino, scolpisce un’epigramma di cruda lode alla proprietà privata: “Ognuno deve essè padrone della roba sua, mi pare il minimo”. Un gruppetto di militanti dell’ex occupazione, inevitabilmente, non siede qui, ma a un locale poco distante. “Hanno murato tutto, tutto militarizzato”, scandisce uno di loro. E il tavolo promesso dalla sindaca Raggi? “Per ora non abbiamo sentito nessuno”.

 

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Lo sgombero per Virginia Raggi potrebbe essere la linea rossa, il punto di non ritorno. Il segno definitivo di un fatto sostanziale e temutissimo in Campidoglio in ottica elettorale: la sindaca non è di sinistra. Da tempo la prima cittadina cerca di accreditarsi come donna di sinistra, forte baluardo contro la destra feroce di Matteo Salvini con cui per un lungo periodo ha scambiato, con cadenza quasi quotidiana,  tweet al veleno. Ieri mattina il suo cinquettio ha invece lasciato tutti esterefatti: poche parole per rivendicare lo sgombero e metterlo accanto, senza alcun distinguo, a quello contemporaneo effettuto a San Giovanni per liberare un locale dall’occupazione di Forza Nuova. Una roba da far schiumare e gridare di rabbia (in tanti ieri lo hanno fatto “Noi che facciamo pacchi alimentari e aiutiamo il quartiere come dei nazisti di mer…?). Anche perché Raggi nel 2016 al Cinema Palazzo andò ospite nel corso del suo tour elettorale (le foto ieri sono spuntate all’istante sui social e sui giornali). Nel pomeriggio la prima cittadina ha corretto il tiro distinguendo le due situazioni e promettendo una soluzione per il Cinema Palazzo. “Dobbiamo lavorare per una soluzione che concili il rispetto e la tutela del diritto alla proprietà privata con la salvaguardia dell’esperienza del Cinema Palazzo. Ho già chiesto un tavolo specifico”. Una toppa troppo piccola e arrivata troppo tardi, anche perché dopo un giorno non è arrivata nessuna novità.

 

“È necessario che adesso la sindaca sia protagonista del nuovo tavolo con la proprietà e serve farlo subito”, dice Francesca Del Bello, non una militante, ma la presidente Pd del II Municipio, che in passato, insieme alla consigliera regionale Marta Bonafoni ha cercato di mediare con la proprietà dello stabile. Il Cinema Palazzo, comunque, è solo l’ultima di una lunga serie di vicende che hanno decisamente allontanato la sinistra movimentista da Virginia Raggi, ormai guardata se non con disprezzo, almeno con sospetto. Un allontanamento all’insegna della legalità: valore assurto a regola assoluta in Campidoglio. “Se non consideri anche il resto, come la giustizia sociale e il valore culturale delle cose, finisce poi che la legalità sostituisce la politica e in città governa il prefetto non il sindaco”, era la critica che in molti rivolgevano ieri alla prima cittadina. Ed è la legalità, in effetti, a dividere ad esempio Virginia Raggi dalla Casa internazionale delle donne, in un braccio di ferro che va avanti da anni. La sindaca vorrebbe che la storica occupazione femminista nel complesso del Buon Pastore pagasse anni di canoni di locazione ricalcolati per un debilito di centinaia di migliaia di euro. L’alternativa è lo sgombero. Sono già andate via, invece, in mezzo a rumorose proteste, le donne vittime di violenza che per tanto tempo sono state ospitate a Lucha Y Siesta, la casa famiglia allesitata in uno stabile di Atac finito però nel concordato e dunque da liberare. Stessa sorte toccata agli occupanti di via Cardinal Capranica, l’ex scuola di Primavalle sgomberata nel luglio del 2019 (qui come per il Cinema Palazzo le decisioni sono state comunque della Prefettura). Ultimamente poi i grillini capitolini si sono persino astenuti, impedendone l’approvazione, sul regolamento per i beni comuni promosso da diversi comitati. Prossimamente dovrebbe arrivare in aula un altro regolamento, quello sui beni indisponibili del Comune, che potrebbe davvero scavare un solco incolmabile tra la prima cittadina e tutte quelle realtà – centri sociali e associazioni – della galassia della sinistra movimentista che offrono in città un welfare parallello. Il provvedimento dovrebbe regolare la concessione degli stabili capitolini attraverso bando: con quel testo decine di realtà rischiano lo sgombero.

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