Cosmopolitics

Il film “Belfast” e la nuova promessa di convivenza del voto in Irlanda del nord

Paola Peduzzi

Il momento del dialogo e del compromesso a tutti i costi, il momento in cui davvero il passato dev’essere buttato alle spalle, in cui non si bluffa più né una né due volte, e in cui la strada o è di tutti o è di nessuno

Che cosa devo rispondere  se qualcuno per strada mi chiede se sono cattolico o protestante, mento, dico la verità?, chiede Buddy, il protagonista del film Belfastdiretto da Kenneth Branagh, quando nel suo quartiere iniziano i Troubles, il conflitto tra protestanti e cattolici. È il 1969, Buddy chiede alla sua amica Moira come deve comportarsi d’ora in avanti, lei gli spiega che deve bluffare due volte: chi ti fa la domanda pensa che tu mentirai, quindi devi mentire due volte e dire che sei protestante. Ma io sono protestante!, dice Buddy, e Moira gli risponde: appunto. 

 

Ho guardato “Belfast” seguendo i risultati del voto in Irlanda del nord: per la prima volta i nazionalisti di Sinn Féin, ex braccio politico dei terroristi dell’Ira, hanno ottenuto la maggioranza relativa in Parlamento ed esprimeranno il primo ministro. Una rivoluzione accompagnata da una se possibile ancora più grande che è poi il significato stesso di “Belfast” e degli Accordi del Venerdì santo della fine degli anni Novanta – il significato della convivenza: il risultato straordinario dell’Alliance Party, il partito liberale di area progressista che è la testimonianza esatta e reale del desiderio di venir fuori dai Troubles, dal doversi definire cattolici, protestanti, di dover mentire, di doversi nascondere o altre volte invece di dover rivendicare la propria identità fino a rischiare la morte.

 

Siamo nella nostra parte della strada o nella loro?, chiede Buddy a suo padre mentre Belfast inizia a dividersi e a frantumarsi, e suo padre gli risponde: non c’è una loro parte e una nostra, c’è una strada che è di tutti, “o almeno è sempre stato così”. L’Alliance è questa strada comune, una via partita strettissima e per molti destinata a non andare da nessuna parte perché i decenni di guerra civile non si dimenticano e non si superano, si possono mettere via le armi ma non i sospetti, le paure, i ricordi di quel che è stato. Poi invece la via s’è allargata, perché la voglia, la necessità di convivenza ha realizzato dal basso ciò che il sistema ancora non ha registrato: Alliance era nato nel 1970 come il partito della cura, oggi ha il suo posto stabile nel Parlamento nordirlandese.

 

Per quanto gli accordi di pace abbiano ventiquattro anni, il sistema prevede che il governo debba essere fatto da Sinn Féin e dal Dup, il partito unionista, che a questo giro elettorale è stato superato e che quindi ora non vuole partecipare alla costruzione del governo di unità. Di fatto al Dup andava bene la coabitazione solo con la sua direzione e oggi punta all’ostruzionismo, che se si protrae per sei mesi porta a nuove elezioni. Questo è quindi il momento del dialogo e del compromesso a tutti i costi, il momento in cui davvero il passato dev’essere buttato alle spalle, in cui non si bluffa più né una né due volte, e in cui la strada o è di tutti o è di nessuno. Al posto della guerra c’è stata una rivoluzione, che andrebbe accompagnata anche da Londra – cosa che probabilmente non accadrà, perché Londra teme che si spacchi il Regno, che la Brexit non si faccia più, che i suoi progetti vadano all’aria, e non s’accorge che di là dal piccolo mare si fanno prove di primavera.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi