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contro mastro ciliegia

Storia grottesca del no (di sinistra) al Museo della Resistenza

Maurizio Crippa

Una mattina mi sono svegliato, e ho trovato… un glicine. La sinistra-sinistra, i verdi e la famosa società civile di zona Bastioni-Porta Volta hanno tanto a cuore la Resistenza, ma certo, ma sono pronti a barattarla per una pergola. Povero Sala

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C’è poco da cantare Bella ciao, qui nella città martire e Medaglia d’oro della Resistenza. Proprio adesso che tornano i fascisti e persino i ghisa han preso a picchiare le trans, la faccenda si fa grave. Ma non seria. Proprio adesso che servirebbe, nella Milano medaglia d’oro e glorioso presidio antifascista, un vero Museo Nazionale della Resistenza – e sarebbe il primo, e sarebbe un orgoglio, e sarebbe anche molto bello. Ora che finalmente, dopo decenni di tiremmolla, si sta (starebbe) per costruirlo, ecco: proprio adesso il popolo antifascista e partigiano di Milano al Museo della Resistenza invece dice no. Preferiscono il glicine. Un glicine, sì. Anche bello, per carità, un bel quadrilaterino di pergolato dietro a uno dei caselli daziari di Porta Volta, da tempo immemore rifugio felice del Circolo Combattenti e Reduci. “Se l’opinione pubblica considera il glicine più importante del Museo della Resistenza, allora vorrà dire che rinunceremo al Museo della Resistenza”, è sbottato l’altro giorno (no, non sbottato: quasi rassegnato), il sindaco Beppe Sala, di sinistra e partigiano senza se e senza ma, cercando di mettere un punto fermo di buon senso a una grottesca e furibonda querelle civica che dura da tempo.

  
Breve spiega. Il museo è un progetto di lunga e travagliata durata finché Franceschini ministro nel 2020 benedisse il via libera all’intesa col governo per realizzare il Museo nazionale della Resistenza. L’area prescelta: un quadrato di terra sul piazzale di Porta Volta, dalla parte opposta del viale rispetto al luogo dove è sorta da tempo la “cattedrale” della Fondazione Feltrinelli realizzata dallo studio Herzog & de Meuron. Su quel quadratino sterrato, avrebbe già allora dovuto proseguire il nuovo palazzo, ma non se ne poté fare nulla: c’era uno storico benzinaio. Ora Herzog & de Meuron sono pronti a completare l’operazione per creare un museo che avrebbe un enorme valore storico e simbolico e sarebbe una nuova medaglia per Milano.


Tutto bene? No, perché la sinistra-sinistra, i verdi e la famosa società civile di zona Bastioni-Porta Volta ha tanto a cuore la Resistenza, ma certo, ma è pronta a barattarla per la vita di un glicine. Sono scesi in campo a migliaia, e pure nomi noti per difendere la pergola (che fiorisce solo un paio di settimane all’anno): da Flavio Volo (un blog locale segnalava anni fa che al circolo c’è appesa una sua gigantografia, c’estala vie), Giovanni Storti (l’anima botanica tra Aldo e Giacomo), Elio e il Milanese Imbruttito: il glicine non si tocca, per il museo arrangiatevi voi.

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Piena solidarietà merita Beppe Sala, sicuro democratico e sindaco buon senso pratico, ancora una volta alle prese con una grana in casa propria (il Consiglio comunale ha approvato un odg in cui si chiede di salvare il glicine e di trovare varianti, per ora inesistenti) di segno green-nimby: ideologicamente identica a quella che ha bloccato il nuovo stadio. Ma qui la cosa è più grave, di mezzo c’è un pezzo di storia. Sala ha dovuto rispondere, paziente: “Spostare il cantiere costa 180 mila euro e non garantisce la vita del glicine”. Dunque “non è un obbligo per Milano fare il Museo della Resistenza”, ha detto con amarezza. Forse domandandosi come abbia fatto la sinistra milanese, che ha fatto la Resistenza e ha ricostruito Milano, a ridursi così. E proprio adesso che arrivano i fascisti, Bella ciao.

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