“Strappare lungo i bordi” è realizzato con somma cura artigianale e perfidia

Mariarosa Mancuso

Non importa cosa abbiate già letto di Zerocalcare. La nuova serie scritta da Michele Rech sia d'esempio per smorzare la banalità di certe macchiette degli sceneggiatori italiani 

Etimologie fantasiose, troppo belle per essere vere. “Catarsi” e “catarro” hanno la stessa origine, spiega l’Armadillo a Zero spingendolo quando è triste a dar di lacrime e moccio. Secondo l’Animale guida, o Voce della coscienza, per affrontare un grande dolore un bel singhiozzo vale più di tanti ragionamenti. Ha le sue ottime ragioni, anche se Zero gli fa notare che una parola viene dal greco (e ha a che fare con la purificazione), l’altra parola viene dal latino (e ha a che fare con qualcosa che scorre). Bisogna buttarsi sul “bardo di Rebibbia” – inteso come quartiere, la definizione sta sul sito che vende la Zerocalcare 3D Collection, riproduzioni dei personaggi dipinte a mano – per vedere una serie divertente e originale. Sei episodi di venti minuti, da ieri su Netflix con il titolo “Strappare lungo i bordi”. Animazione, grazie al cielo. Nel film “La profezia dell’Armadillo” (diretto nel 2018 da Emanuele Scaringi) l’Armadillo pareva un Gabibbo arancione con la corazza.  

 

 

Strappare lungo i bordi, recensione della serie Netflix sceneggiata da Zerocalcare

“Strappare lungo i bordi”, quando riesce bene, è la vita senza inciampi e delusioni. Seguiamo la linea tratteggiata e nulla potrà andare male. Non è il caso di Zero, goffo come i concorrenti che in “The Squid Game” cercano di spezzare il biscotto di caramello lasciando intatta la figura. Per limitare i danni sta perlopiù a casa e ha pochi amici: il Secco (nel film era Pietro Castellitto), Sarah, qualche volta Alice. Ma anche la casa è ingovernabile, vive di vita propria: vari reami cercano di conquistare il Divano di Spade (una delle tante citazioni, alternate con gli incubi mostruosi che appaiono nei momenti di difficoltà).  Zero ha la maglietta con il teschio, e due giganti sopracciglia nere che paiono i baffi disegnati di Groucho Marx. Il divano a righe rosse è assediato dai nemici. I cartoni del trasloco mai aperti. Il groviglio di fili che prospera, e forse si moltiplica, dietro al televisore. Approdo Superfluo, ovvero il tavolo dove si appoggiano momentaneamente le cose, ormai impossibile da sgomberare come un campo profughi. Già hanno conquistato l’altro divano, il Divano Minor: acquisto superfluo, il nostro – sociopatico cresciuto in una famiglia di sociopatici – non invita mai nessuno. Con gli amici si vede sulla panchina.

Zerocalcare e il gusto per i titoli

Non importa quanto e cosa abbiate già letto di Zerocalcare, che nel 2018 ha avuto la sua personale al MAXXI di Roma, completa di catalogo intitolato “Scavare fossati-Nutrire coccodrilli”, con testi critici e cronologia. Non importa se l’avete scoperto con “Kobane Calling”, un viaggio – sempre disegnato – tra la Turchia e la Siria. Oppure con le cronache scolastiche di “Polpo alla gola”. O ancora con “Macerie prime”, o “L’elenco telefonico degli accolli”, dove viene assillato dal “Demone dell’inadempienza” (l’Armadillo ogni tanto deve chiedere rinforzi). Tutti Bao edizioni, e non si può dire che il giovanotto – all’anagrafe Michele Rech classe 1983 – non abbia il gusto per i titoli (lo pseudonimo viene da un detersivo per bagni e piastrelle).

“Strappare lungo i bordi” è scritto, disegnato, realizzato con la somma cura artigianale, e perfidia non disgiunta dall’affettuoso trasporto verso i personaggi. Difettosi e pieni di complicazioni, secondo l’Armadillo Zero è “cintura nera di come si schiva la vita” (gli sceneggiatori del cinema italiano dovrebbero prendere a esempio la serie, per smorzare la banalità di certe macchiette). Il Secco gioca a poker online, e mangia gelati nelle giornate buone e in quelle cattive. Zerocalcare dà la voce a tutti i personaggi, maschi e femmine. Fa eccezione l’Armadillo, affidato alle cure di Valerio Mastandrea.

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