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È cibo, in sintesi

Viva la carne sintetica. Senza ricerca l'agricoltura non va avanti

Antonio Pascale

Non se ne può più di questa tendenza bipartisan in difesa delle fantomatiche tradizioni alimentari e contro le nuove pratiche culinarie. Pensiamo davvero che con i cambiamenti climatici continueremo a coltivare le stesse cose del passato?

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Sarà pure colpa del nostro passato evolutivo. Del resto, la pratica della macellazione risale ad almeno 3,4 milioni di anni fa, quando cominciammo a sviluppare una dieta onnivora che comprendeva anche la carne (i tre grandi onnivori del regno animale, sostiene lo psicologo Paul Rozin, sono i ratti, gli scarafaggi e l’uomo: perché sono ovunque e trovano sempre qualcosa da mangiare). Sarà questo e altro, però non se ne può più. Di questa tendenza bipartisan che ci vede uniti a difendere delle fantomatiche tradizioni e pratiche alimentari e opporci come i soldati in trincea alla produzione del cibo sintetico: la terra sì, il laboratorio no. Come se fossero due pugili che si fanno la guerra, dal letame nascono i fiori dai laboratori non nasce niente, diciamo tutti in coro, parafrasando il maestro. La verità è che qui senza la ricerca fatta nei laboratori la terra perde importanza, si scolora, non c’è letame che tenga. Senza la ricerca l’agricoltura non va avanti, hai voglia di dire no chimica, no biotecnologie, no emissioni di CO2, sì bio, e sì al cibo locale, via il Km zero, viva il Made in Italy, no multinazionali eccetera. Perché se vogliamo un’agricoltura più sostenibile (con meno chimica, meno arature, meno impatto) dobbiamo fondare non uno ma cento laboratori, cento fabbriche in cui si sperimentino il cibo e le piante del futuro.

 

Qua bisogna cambiare la narrazione, a costo di prendersi gli insulti: meno terra più sintetico. Meno passato più innovazione. Anche perché in Italia quel poco di pianura che abbiamo e che sfugge all’asperità dell’osso è mal gestita. Aziende piccole nei settori cruciali. Tanti costi e poca produttività. Tante cultivar e poca sperimentazione in laboratorio: le lasciamo lì, a riempire l’album delle figurine: questa ce l’ho e pure questa. Ma pensiamo davvero che con i cambiamenti climatici potremo continuare a coltivare le stesse cose del passato? Già una cultivar in campo dura un decennio, poi viene soppiantata da altre, pensate ora che siamo in un mercato così grande e sotto un cielo problematico.

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Niente, non c’è niente da fare, nel settore agricolo destra e sinistra pescano le stesse papere. Una volta gli insetti, schifezze venute da fuori, una volta le schifezze venute fuori dai laboratori. Come se nel sintetico non ci fosse cultura, capacità di affrontare dei problemi e trovare delle soluzioni. Come se nei laboratori non ci fosse una preoccupazione per la salubrità e la qualità. Che poi di che stiamo parlando? Di carne sintetica: ma magari. Magari potesse essere commercializzata a basso prezzo. Perlomeno saremmo contenti di pagare un giusto prezzo a giovani che hanno investito per produrre carne senza macellare e senza spingere sulla nostra vanità di antichi cacciatori tribali. Visto che ogni 10 secondi macelliamo 24 mila animali, per un totale di 75 miliardi all’anno. Fatti i conti, oggi il mondo ospita un miliardo di maiali, quasi altrettante pecore, 1,5 miliardi di vacche e circa 23 miliardi di polli.

 

Comunque, nei laboratori si sta cercando di produrre carne sintetica da cellule animali. Ci vogliono quattro passaggi. Si prendono cellule animali e si fanno crescere. Poi è necessario creare una superficie sulla quale si attaccano le cellule muscolari (si chiama scaffold), successivamente si passa il composto in un terreno di coltura, affinché crescano (una soluzione di proteine, vitamine, ormoni e zuccheri) e infine si passa tutto in un bioreattore, cioè, un ambiente che assorbe le sostanze nutritive ed espelle i rifiuti. Dopo nove mesi, ecco la carne sintetica. Nel 2013, è stata organizzata dalla Bbc in diretta televisiva il primo assaggio. Risultato? Sapeva di carne, ma c’era ancora da lavorare. Secondo problema? Il costo, per un hamburger spendevi 330 mila dollari. Ora, l’azienda che ha sviluppato il brevetto (è del farmacologo Mark Post) è riuscita ad abbassare il costo a 99 dollari, comunque, 10 volte di più rispetto a quello, diciamo così, naturale. 

 

Ci sono una decina di aziende che stanno provando a migliorare la carne, ma il problema principale è che se è facile fare un hamburger, è difficile realizzare una bistecca. Infatti, quest’ultima richiederebbe un sistema, diciamo così, naturale che faccia arrivare le sostanze nutritive al muscolo attraverso i vasi sanguigni. La soluzione che si sta adottando è far passare i nutrienti attraversi i vasi linfatici di una foglia di spinacio. Sarà lunga ma prima o poi la carne verrà messa sul mercato e stenderemo i tappeti ai giovani ricercatori che hanno portato il giusto sapore di terra nella carne, risparmiando alcuni costi al pianeta. Andrà così e noi allora, però, ci scommetto, staremo in trincea a difendere le gloriose tradizioni alimentari che tra l’altro, in quel dì, saranno un ricordo offuscato, roba da collezione, nemmeno tanto pregiata.

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