Foto di Marco Merlino, via LaPresse 

un'apologia

Elogio del Lambrusco da non buttare nel lavandino della politica. E al Cav. spetta l'Amarone

Camillo Langone

Ora che Silvio Berlusconi ha gettato in pasto all'opinione pubblica (e a Vladimir Putin) quel vino troppe volte considerato "da supermercato", sarà necessario spiegare invece perché è sublime

Non poteva regalare dell’Amarone? Questo ho pensato quando ho sentito l’audio rubato al povero Cavaliere. L’Amarone è un vinone costosone, ottimo per omaggi esibizionistici, e poi è veronese e strizzerebbe l’occhio alla leggenda degli antenati veneti di Putin (a Costabissara, nel Vicentino, ci sono molti Putin anzi Putìn, con l’accento sulla i, un po’ poco come prova). Lasciate in pace il mio Lambrusco amatissimo, ho pensato, rispettatelo, non buttatelo nel lavandino della politica o peggio ancora della guerra. Ma visto che ormai la frittata è fatta, che la bottiglia ormai è stappata, colgo l’occasione per fare ordine.

 

Premesso che non so né voglio sapere quale tipo di Lambrusco è stato regalato all’autocrate russo (ammesso che non sia tutta una barzelletta), posso dire quale tipo di Lambrusco regalerei. A un palato non aduso alle vette organolettiche raggiunte dai Lambruschi estremi che bevo io, regalerei un Lambrusco scuro e non terribilmente secco, un Lambrusco rifermentato in autoclave, un Lambrusco di Mantova o di Parma o di Reggio o di Bologna, e cito tutte le province perché mi piace sempre spiegare che il Lambrusco non è soltanto una faccenda di Modena, come ai modenesi piace pensare, e non è nemmeno una faccenda soltanto emiliana.

 

Il Lambrusco è una grande famiglia di vitigni diversi l’uno dall’altro (Sorbara, Salamino, Grasparossa, Fioranese, Viadanese, Maestri…), allevati in province e regioni diverse, che danno luogo a vini diversissimi, che spesso sembrano avere come comune denominatore soltanto il nome. A proposito di nomi, per questa tipologia mi limito al Calanchi di Monte delle Vigne (in quota Parma) e al Migliolungo della Cantina di Arceto (in quota Reggio), ricavato dalle variopinte uve del vigneto dell’Istituto agrario Zanelli dove ho imparato a fare gli innesti (Berlusconi l’ha buttata sul sentimentale, la butto sul sentimentale anch’io). Ma vengo al Lambrusco supremo che è quello rifermentato in bottiglia, il cosiddetto metodo ancestrale, ricco di lieviti e di vita.

 

Fra questi ci sono i vini più secchi del mondo, a dispetto dei somari convinti che il Lambrusco debba essere, anziché brusco, dolciastro. Vini di produzione limitatissima, a dispetto dei ciuchi convinti che il Lambrusco sia un prodotto da supermercato (sono loro da supermercato, e se sono bevitori da supermercato come osano parlare di Lambrusco di Sorbara ancestrale? È come se snobbassero la carne senza conoscere il filetto di chianina ma soltanto il würstel della Lidl…). A palati sofisticati, tra i raffinatissimi, chiarissimi Sorbara rifermentati in bottiglia regalerei il Lambrusco del Fondatore (Cleto Chiarli) che è all’origine del presente rinascimento lambruschista e che io bevo abitualmente con le ostriche, o il Radice di Paltrinieri, o le varie etichette di Angol d’Amig, o quelle del professor Venturelli, qualora si abbia la fortuna di trovarle perché si tratta di una produzione esoterica che non riesce a soddisfare le richieste della provincia di Modena, figuriamoci le spedizioni in Russia. Di Amarone invece ce n’è tanto.

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