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Questo Papa, giustiziere di procura

Giuliano Ferrara

Il caso Becciu. Un Papa usa una misura di cautela, di attenzione, di discrezione e di discernimento negli affari interni della chiesa. Non è un qualunque Robespierre. E la carità è anche una tecnica di governo

 

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Sarà strano, bizzarro, immorale, ma all’ingrosso si può pensare che un Papa difende i suoi cardinali, i suoi sostituti, i suoi prefetti, e magari li allontana poi nel segreto da posti e funzioni delicati, Il repulisti lo fa a modo suo invece di eseguire maldestramente i mandati investigativi della Guardia di Finanza, invece di giustiziarli con l’accusa di peculato, non provata, o di abbandonarli ai lupi dello stato di Victoria e agli avvocati delle presunte vittime anonime per l’accusa di aver stuprato un paio di ragazzini, così, in cinque minuti, in sagrestia, dopo la messa di inaugurazione del nuovo vescovato nella diocesi di Melbourne. Un Papa usa una misura di cautela, di attenzione, di discrezione e di discernimento negli affari interni della chiesa. Il gesuita e biblista Martini disse una cosa enorme e grottesca quando accusò la chiesa cattolica di un ritardo di duecento anni sulla modernità. Il Papa non è un qualunque Robespierre, per non dire di Saint Just, e il dovere della chiesa è di essere in ritardo di duemila, non di duecento anni, sugli affari generali del suo tempo.

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Sarà strano, bizzarro, immorale, ma all’ingrosso si può pensare che un Papa difende i suoi cardinali, i suoi sostituti, i suoi prefetti, e magari li allontana poi nel segreto da posti e funzioni delicati, Il repulisti lo fa a modo suo invece di eseguire maldestramente i mandati investigativi della Guardia di Finanza, invece di giustiziarli con l’accusa di peculato, non provata, o di abbandonarli ai lupi dello stato di Victoria e agli avvocati delle presunte vittime anonime per l’accusa di aver stuprato un paio di ragazzini, così, in cinque minuti, in sagrestia, dopo la messa di inaugurazione del nuovo vescovato nella diocesi di Melbourne. Un Papa usa una misura di cautela, di attenzione, di discrezione e di discernimento negli affari interni della chiesa. Il gesuita e biblista Martini disse una cosa enorme e grottesca quando accusò la chiesa cattolica di un ritardo di duecento anni sulla modernità. Il Papa non è un qualunque Robespierre, per non dire di Saint Just, e il dovere della chiesa è di essere in ritardo di duemila, non di duecento anni, sugli affari generali del suo tempo.

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Quando si tratti di essere nel mondo ma non del mondo i gesuiti dovrebbero essere maestri, invece qualcosa è andato storto se il loro primo Papa si consegna mani e piedi alle inchieste dell’Espresso, via, certi protocolli andrebbero rispettati e fatti rispettare, le istituzioni sacrali o carismatiche non possono agire su istruzioni della Finanza, con tutto il rispetto per il lavoro dei finanzieri, non possono incorporare un senso o una procedura di giustizia mutuati dal secolo, altrimenti poi succede che il cardinale Pell, questo Dreyfus incarcerato e torturato da una giustizia aborigena, con l’anello al naso, fino a essere poi assolto da sette giudici supremi su sette per le false accuse che gli sono costate tutto, e che mostra di godere adesso per la disgrazia subitanea del suo nemico curiale cardinale Giovanni Angelo Becciu, passa dallo statuto di grande innocente abbandonato dalla sua famiglia vaticana come un cane in autostrada al ruolo indecente di inquisitore in seconda.

 

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La carità non è solo un sentimento, l’essenza del divino, è una tecnica di governo. I protestanti le loro chiese o assemblee, prima che svanissero nel mondo, le modellarono sullo stato del loro tempo, mica sulla fede selvaggia e sublime di Lutero o sull’austerità di Calvino, niente si regge sui paternoster tranne l’intimità della preghiera e della relazione con Dio del suo popolo credente, figuriamoci un’istituzione bimillenaria che ebbe il suo battesimo del fuoco e della roccia prima da Cristo maestro della vera giustizia e poi da un imperatore romano e presidente di un concilio, Nicea, in cui venne fissato il suo credo dogmatico. Il sogno di Costantino fu “in hoc signo vinces”, e la latinità si fece ecclesiastica e cristiana mentre la cristianità si fece latina e occidentale, il sogno di Francesco Papa è ormai chiaro: “in hoc signo chaos”.

 

Questo Papa ha esordito affermando che il tempo è superiore allo spazio, un azzardo che all’inizio sembrava perfino persuasivo, ma la chiesa cattolica è un tempo lungo, lunghissimo, e uno spazio tendenzialmente infinito, è universale, non si può amministrare come una procura della Repubblica o come l’ufficio stampa del gruppo ex Caracciolo. Sono giochi pericolosi, mettono in discussione simboli e simbolo, determinano non già la guida buona e fedele, docile e amabile, alla secolarizzazione, come crede il nostro amato Alfonso Berardinelli, sublime literati neoevangelico, ma il ruzzolare verso il precipizio. Carità e santità, Metà della metà. 

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