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Le differenze tra Navarro Valls e il marasma mediatico di oggi

Maurizio Crippa

Quando la comunicazione del Papa esisteva, e soprattutto ci credevano

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Mancare di rispetto in zona santi, e pure in zona fedeli defunti, e trattandosi di un magnifico e ammirabile numerario dell’Opus Dei, non si vorrebbe proprio e non si farà. Ma al momento di salutare alla conclusione della sua buona battaglia Joaquín Navarro Valls, medico psichiatra e poi giornalista, “fisico asciutto, elegantissimo, poliglotta”, come lo hanno descritto manco fosse una star del cinema, la trappola del santino è lì a un passo. Non ne ha bisogno lui, non dice niente di nuovo a noi. E’ forse più interessante osservare i contorni della sagoma, lo sfondo dietro a San Pietro. E domandarsi che cosa fosse, allora, dal 1984 al 2006 – gli anni fulgidi del giovanpaolinismo trionfante e poi del lunghissimo, corrusco tramonto di un’epoca – la forza di comunicazione del Papato cattolico. Incarnata e plasmata dall’uomo che fu l’interfaccia mediatica del Papa più mediatico (o l’unico mediatico?) che la storia ricordi. Bisogna partire da qualche notazione laterale, e dalla fine.

   

Quando negli ultimi giorni Joaquim Navarro Valls compariva in sala stampa, impassibile come un torero seduto al tavolo di poker, e leggeva comunicati in cui asseriva che il Santo Padre, nelle ore precedenti, già d’agonia, “aveva in mente probabilmente i giovani”. E chi si fosse riusciti a leggere sulle sue labbra la sequenza di parole: “Vi ho cercato adesso siete venuti da me e per questo vi ringrazio”. L’universo mondo della comunicazione, semplicemente credeva. O quando sull’aereo papale da Città del Guatemala a Caracas, 1996, spiegò da par suo ai giornalisti i dettagli dell’incontro di Karol Wojtyla con il premio Nobel per la pace Rigoberta Menchú, non proprio un’anticomunista. Citò anche ai contenuti del colloquio: peccato che non fosse mai avvenuto. Qualche imbarazzo, ma poi niente di che. Qualche gaffe, ovviamente, ma chi non ne ha fatte in vent’anni di carriera, e con un figlio del tuono come quel principale. Ma il punto è un altro. Quella chiesa, quella Santa Sede, quel Vaticano, quel portavoce del Papa non solo sapevano comunicare, col mondo. Sapevano rendersi credibili – il che non vuol dire non essere avversati – agli occhi dei media internazionali e della loro narrazione. E, in un certo senso e almeno in parte, sapevano dettare l’agenda. Parlava Navarro Valls, era sicuro che fosse il Papa, e molte volte era lui a fare lo spin al Papa, facendo pure incazzare la Segreteria di stato. Ma quello faceva testo, passava quel messaggio. A padre Federico Lombardi buon’anima, magnifico porta-silenzio di Benedetto XVI, non perdonarono nulla e niente di quello che si perdonò a Navarro Valls. Segni dei tempi. Per non dire dello stato confusionale in cui versa la comunicazione attuale nel regno di Papa Francesco. Con un Papa che scrive o telefona direttamente a Scalfari, con talpe e corvi per ogni dove. E soprattutto con quella vaga, ma percepibile e micidiale sensazione che qualsiasi cosa dica, la sala stampa del Papa, nessuno l’ascolta, o ci crede più.

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