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La Cina ha studiato la Guerra fredda preparandosi a quella nuova contro l’occidente

Per il Wall Street Journal l’Unione sovietica non aveva la tecnologia che oggi può vantare Pechino. Per questo stavolta sarà diverso

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“La Cina crede che il potere sia la chiave degli affari internazionali, e che la tecnologia sia essa stessa il potere”, scrive David P. Goldman sul Wall Street Journal: “Questa lezione l’ha imparata da Ronald Reagan. Il presidente americano ha vinto la Guerra Fredda grazie a un rafforzamento militare che ha dato vita a una rivoluzione economica. La ricerca e lo sviluppo militare hanno prodotto molte nuove invenzioni nell’èra digitale, dai microchip all’internet. L’Unione sovietica si è arresa di fronte alla superiorità militare dell’America e alla sua crescita industriale. La Cina ha osservato e ha preso nota.

 

Di questi tempi va di moda parlare di una ‘nuova Guerra Fredda’ in cui la Cina svolge il ruolo che fu dell’Unione sovietica. In realtà non c’è nulla di simile. Ci troviamo di fronte a un nemico strategico che intende utilizzare la formula vincente dell’America, ovvero usare la tecnologia per conquistare il primato militare. E questa strategia non è un segreto: il piano di Huawei per assumere il controllo della quarta rivoluzione industriale viene pubblicizzato nei video sul sito della compagnia. La Cina è già avanti nella rete 5G, e ha costruito tre volte il numero di torri pro capite rispetto agli Stati Uniti. Gli americani vedono la banda larga come una tecnologia di consumo e il 5G come un modo più veloce per scaricare i video. La Cina vede il 5G come la chiave per la quarta rivoluzione industriale, così come le ferrovie avevano dato vita alla prima rivoluzione industriale. Il 5G rende possibile la creazione di tecnologie innovative come i robot industriali che si auto-programmano, la chirurgia robotica, i veicoli autonomi e gli smartphone che svolgono delle diagnosi e caricano i dati in tempo reale, per non parlare dei droni o altre applicazioni militari. La Cina è diventato un leader globale nell’intelligenza artificiale non perché i suoi informatici siano più intelligenti di quelli di Microsoft ma perché ha un grande vantaggio sui dati, che sono la benzina che alimenta il motore dell’intelligenza artificiale. Nel frattempo gli Stati Uniti spendono solo lo 0,6 per cento del pil per sostenere la ricerca e lo sviluppo contro l’1,2 per cento dell’epoca Reagan. Washington sta perdendo terreno perché non investe più sull’innovazione. L’era digitale non sarebbe ancora nata se non fosse stato per le compagnie tech americane, che però negli ultimi venti anni hanno iniziato a produrre il software, lasciando che l’Asia si occupasse dell’hardware. Questa miopia minaccia il primato militare ed economico degli Stati Uniti.

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C’è una grande differenza tra vincere e cercare di sentirti meglio quando perdi. E’ arrivato il momento che l’America riconosca le dimensioni della minaccia cinese e abbandoni alcuni miti consolatori, come l’idea che la Cina rubi la tecnologia perché non riesce ad innovare. La Cina riesce ad innovare, ed è già avanti in molti campi. La più grande preoccupazione tecnologica per l’America dovrebbe essere l’innovazione domestica, non il furto della proprietà intellettuale.

  

Inoltre le banche cinesi non collasseranno da qui a breve. I paesi in crescita con un alto tasso di risparmi e una bilancia commerciale in attivo solitamente non vengono colpiti dalle crisi finanziarie. L’economia cinese crescerà quest’anno mentre quella europea e americana arretreranno.

 

Restringere l’accesso della Cina alla tecnologia farà rallentare il paese solo temporaneamente. Huawei magari non potrà costruire i chip a Taiwan ma può assumere chiunque è disposto a farlo. Circa il 10 per cento degli ingegneri specializzati nella produzione di chip a Taiwan lavorano in Cina. L’America resta sempre al primo posto nella produzione di chip, ma i macchinari americani non sono più né indispensabili e nemmeno i più avanzati nel campo della litografia. Imporre i dazi sulle esportazioni cinesi verso l’America non ha danneggiato molto la Cina. Queste rappresentano meno del 3 per cento del pil cinese, mentre le esportazioni totali della Cina si sono dimezzate dal 36 al 18 per cento del pil dal 2006 ad oggi, anche a causa di un aumento di nove volte dei consumi interni.

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Le sanzioni finanziarie ai danni della Cina si sono ritorte contro l’America. La minaccia dell’Amministrazione Trump di allontanare le compagnie cinesi dalla borsa americana le ha spinte verso Hong Kong, dove hanno investito decine di miliardi di dollari. Inoltre la denuncia degli abusi dei diritti umani, come il trattamento brutale della minoranza degli uiguri nella provincia dello Xinjiang, non fa una buona impressione su Pechino. L’impero cinese ha sterminato per secoli tutto ciò che considerava ‘disordinato e barbaro’ e non cambierà i propri metodi oggi. Al di là degli obbrobri compiuti dalla Cina nell’ambito del Covid-19, puntare il dito contro Pechino non ci porterà da nessuna parte. Gli Stati Uniti devono giocare in attacco, non in difesa. Questo significa che dovrà esserci un ritorno alle politiche che hanno consentito di vincere la Guerra Fredda e hanno reso l’innovazione americana un’eccellenza mondiale: aumentare i finanziamenti per la ricerca ai livelli dell’era Reagan, dare priorità alle tecnologie strategiche come la difesa dai missili, attuare un piano nazionale per fare crescere il 5G e un programma di istruzione scientifica basato sul National Defense Education Act del 1958. Restare davanti alla Cina richiederà dieci anni e un bilione di dollari. Gli Stati Uniti non ci riusciranno allontanando Huawei dai mercati stranieri e sgridando i funzionari cinesi per la repressione a Hong Kong. Abbiamo bisogno della leadership visionaria che ha portato gli americani sulla Luna nel 1969 e ha fatto crollare il comunismo sovietico venti anni dopo. Torneremo a catturare l’attenzione di Pechino quando saremo in grado di distruggere i missili cinesi in volo e produrre delle innovazioni tecnologiche che la Cina non può eguagliare”.

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