Le mmagini del campionato nazionale di Subbuteo a Singapore, nel 2014 (foto LaPresse)

Subbuteo, il Mondiale tra le dita

Giovanni Battistuzzi

Un magnifico sport. Se la vostra squadra ha vinto, tutti in Russia. Se la vostra squadra ha perso, consolatevi con il calcio da tavolo (molto meglio del calcio-pixel)

Finale di Champions League 2009, trenta secondi al triplice fischio finale, la palla arriva in area di rigore all’altezza del dischetto, l’attaccante si avvicina pronto a calciare, l’ultima occasione per rimettere in parità il risultato. Carica il tiro, tutti sanno che proverà il pallonetto perché da quella posizione, contro quegli avversari, è l’unica soluzione possibile. Lo sa anche il portiere che esce il giusto per occupare più porta possibile. La posizione del corpo dell’attaccante è un indizio, è quella di chi sta per provare lo scavetto, il portiere aspetta, salta, una parata ancora per chiudere la partita, per respingere pure quel tiro, come gli altri prima. L’attesa, poi il colpo, la palla che invece di salire inizia a rotolare, invece di puntare all’incrocio dei pali, procede spedita verso il centro della porta, bassa, infida: gol, uno a uno. Massimo Bolognino aveva assicurato ai suoi il punto che serviva, aveva regalato a tutti “o’ friariello”, ossia la magia che non ti aspetti, il colpo di classe, quello che ci si può aspettare solo dai fenomeni. E lui lo è, perché sei mondiali individuali e quindici a squadre sono un palmares d’eccezione, il certificato del campione. E’ calcio, ma in miniatura, perché il pallone c’è, ma in piccolo; così come il campo, acrilico ed elettrico; e i giocatori due, e ventidue statuine: Subbuteo, anzi calcio da tavolo, passione calcistica tra le dita.

 

Subbuteo è principio, il calcio tavolo è evoluzione agonistica, un cambiamento tecnico, di basi delle statuine, da quasi totalmente semisferiche con un piatto risicato di scorrimento, ad altre con una superficie piatta maggiore. “Il Subbuteo era un gioco, il calcio da tavolo è la sua dimensione competitiva”, spiega al Foglio Bolognino, “e nonostante ci siano differenze tecniche evidenti, in sostanza si tratta dello stesso gioco, al di là della filosofie di pensiero che a volte fanno bisticciare ‘oldisti’ (ossia i giocatori che utilizzano basi Subbuteo classiche o quasi) e ‘calciotavolisti’”.

 

E’ soprattutto un insieme di corsi e ricorsi che partono dal calcio e al calcio ritornano, un tentativo di rendersi partecipi di un mondo distante, quello dei calciatori della squadra per la quale si tifa e riprodurne movimenti, tattiche, schemi, un modo per portare il calcio in casa, i campioni su un tavolo di gioco. “Il Subbuteo rappresentava qualcosa che non è ancora facile spiegare”, dice al Foglio Marcus Helmut Schweiner, due volte campione di Germania nonché primo marcatore al Mondiale 1974. Schweiner ora è uno storico, studia la Baviera e i suoi usi e costumi, e ha una passione ormai in pensione per il calcio. “Ho smesso di seguire il Bayern quando ha smesso di essere l’emblema della mia regione per diventare un marchio. All’epoca invece era diverso. Il calcio era una passione e il Subbuteo era più di un gioco, era un modo, almeno per noi ragazzini, per cercare di anticipare o modificare gli eventi del calcio reale, aveva qualcosa di apotropaico, serviva a portar bene. Si giocava il sabato, poi la domenica si andava a vedere la partita con la speranza che quello che avevamo fatto al tavolo si realizzasse nella realtà”.

 

L'attesa, poi il colpo, la palla che invece di salire inizia a rotolare. Il "friariello" di Massimo Bolognino, campione del mondo

“Sul campo di Subbuteo sono riuscito a portare le mie fantasie calcistiche, quelle che non sono riuscito a realizzare sul campo”, ci dice Bolognino. “Quando era piccolo io e i miei amici facevamo i campionati, ognuno si prendeva una squadra e tentavamo di ricreare la serie A. Imitavamo i grandi allenatori, gli schemi di gioco che vedevamo allo stadio e a distanza di anni devo dire che ancora non c’è nulla che riesca a riprodurre così fedelmente il calcio, almeno a livello tattico, come una partita di calcio tavolo”.

  

“Se ora il Cio dice che i videogiochi sono uno sport che può andare alle Olimpiadi, dovrebbe esserlo anche e soprattutto il Subbuteo perché dagli anni Sessanta in poi sport lo è stato davvero”, ricorda il ventidue volte campione del mondo. Perché il calcio da tavolo “è un gioco complicato, un’unione di biliardo e scacchi, dove contano tecnica e strategia”. E’ una sfida “contro qualcuno, perché da soli non si può giocare”, nella quale conta avere in testa uno schema preciso di attacco e di difesa, al quale va aggiunta una buona dose di furbizia e improvvisazione perché “ogni colpo deve essere eseguito anche tenendo conto delle mosse dell’avversario”. Uno sforzo mentale che diventa fisico, che diventa necessità di tenere a bada le emozioni, “perché la mano non può tremare, è necessario mantenere la calma e non farsi distrarre altrimenti il dito va dove vuole e la partita è persa”.

 

Un gioco che ha una lunga storia, una sua memoria. I primi Mondiali furono giocati nel 1974 in contemporanea con la Coppa del Mondo. E così continuò sino al 1994. “Iniziai a giocare nel 1974 circa e smisi di farlo, almeno in modo competitivo poco tempo dopo la mia più grande vittoria”, dice al Foglio Giuseppe Trovato, campione europeo a squadre a Roma nel 1980. “D’altra parte il Subbuteo è un gioco complicato e quando si raggiungono competizioni importanti c’è bisogno di molto allenamento per mantenere certi livelli di gioco. Rimane un hobby per molti, un divertimento, ma per giocare bene serve perseveranza per poter essere competitivo, per mantenere la sensibilità giusta sulle dita. E’ il discorso che viene fatto per ogni sport e il Subbuteo lo è”.

 

Dalle unghie ai polpastrelli, dal calcio da tavolo a quello da video, dalle statuine che sono iper-semplificazioni di uomini ai pixel che sembrano ormai reali, emanazioni televisive da giocare. Il Subbuteo non è sparito, ma almeno nell’immaginario collettivo ha lasciato il posto a Fifa e a Pes, si è appiattito nelle due dimensioni di un televisore per diventare più tridimensionale del reale. E’ “l’approccio fisico allo schermo” di Derrick De Kerckhove, è “la fantasia del calcio alla prova della razionalità del computer” di Desmond Morris. E’ soprattutto la continuazione naturale dell’intrattenimento calcistico, quello che riempie l’assenza da pallone nella settimana, che diventa chiacchiera reale al bar, formazione immaginaria nel Fantacalcio, narrazione e intrattenimento domestico. Era il Subbuteo un tempo – e dura ancora – sono i videogiochi ora. Due mondi simili, ma non uguali, due facce diverse di uno stesso cubo, quello extra calcistico.

 

"L 'approccio fisico allo schermo" di De Kerckhove, "la fantasia del calcio alla prova della razionalità del computer" di Desmond Morris

Quando il pallone giocato negli stadi o nei campetti non basta, si passa a una dimensione domestica del vivere, si crea un surplus di narrazione. Per questo è nato lo sport da tavolo. Se infatti il calcio Balilla, le cui origini sono ancora incerte (l’unica certezza è che è stato creato nei primi anni dopo la Prima guerra mondiale) e sono rivendicate da Germania, Francia, Spagna e Inghilterra, era più che altro passatempo, un gioco da compagnia da fare al bar, l’invenzione del Subbuteo porta la rappresentazione calcistica all’interno delle abitazioni. Sono gli anni Cinquanta (il gioco è stato inventato nel 1947) e il calcio sta pian piano diventando lo sport più seguito, i suoi campioni iniziano a prendere il posto di quelli del ciclismo nell’immaginario collettivo. Il calcio è stadio, ma soprattutto voce. E’ la radio il mezzo attraverso il quale arriva ai tifosi, le azioni sono narrate, lo spazio all’immaginazione enorme. Come racconta Trovato “solo in tribuna si poteva vedere il calcio. Se non si poteva andare allo stadio o c’erano i giornali o c’era la radio, al massimo la sera l’appuntamento con la Domenica sportiva, insomma c’era libero spazio alla fantasia”. Il Subbuteo catturò tutto questo: fu il gioco del movimento opposto alla fissità del biliardino. Le statuine si muovevano per il campo, potevano seguire per schemi e per azioni quelle raccontate dai radiocronisti.

 

Quello del tavolo da gioco e del video sembrano mondi vicini, quasi conseguenti. Sono intrattenimento ludico di uno stesso sport. Ma sebbene facciano riferimento a una stessa passione, sono universi simili ma allo stesso tempo differenti. Quello che è mutato non sono solo le caratteristiche del gioco, dell’intrattenimento, quanto piuttosto il rapporto degli appassionati con il calcio. Si è passati da uno sport prevalentemente letto e ascoltato a uno osservato. E così il gioco che era riproduzione a grandi linee del calcio, si è trasformato in emulazione dello stesso. I pixel sono diventati di anno in anno un tentativo di riprodurre il più esattamente possibile la realtà che vediamo in tv, copie perfette di movimenti e di azioni, di finte ed esultanze. Si gioca per imitare Cristiano Ronaldo, non più per immaginare di essere Diego Armando Maradona.

 

Il Cio vuole i videogiochi alle Olimpiadi, ma dovrebbe esserci anche il Subbuteo. O la sua versione agonistica, il calcio da tavolo

E’ sempre gioco ed è sempre calcio, ma “c’è una differenza abissale tra il Subbuteo e i videogiochi ed è quella della manualità”, dice Trovato. Se infatti nei videogiochi “tu manovri qualcosa, un giocatore nel televisore che si muove assieme ad altri giocatori nel televisore che vanno in automatico e reagiscono alle tue azioni”, attorno al panno verde questa interazione tra giocatore e computer non c’era, “c’eri solamente tu e il dito e il tuo dito muoveva tutto”. L’abilità stava nella creazione di un mondo nel quale la casualità diventava variabile trascurabile perché tutto, per funzionare, doveva essere programmato, al massimo improvvisato, con razionalità, nel corso dell’azione. “Sono solo due universi paralleli che non si toccano”, racconta Bolognino. “Nel calcio da tavolo si è deus ex machina della squadra, tutto si muove perché tu decidi come e quando farlo muovere, nei videogiochi non è così”. L’intelligenza artificiale simula il reale, o meglio quello che gli hanno insegnato essere il reale, il giocatore “ha la possibilità di gestire a turno le sorti di solo un undicesimo, il resto è in mano al computer”. Oltre a questo c’è però altro, una cesura netta tra i due mondi. Spiega Schweiner: “Al tavolo tutti sono uguali, alla console no. Cristiano Ronaldo non è Tony Kroos e Tony Kroos non è Benatia. Ci sono dei valori diversi che comportano velocità, dribbling, tiri differenti. Tutto ha un valore, che è unico. Nel Subbuteo l’unico valore è la capacità di dar forza al tuo dito e questa abilità è uguale per tutte le undici statuine in campo”.

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