L'abbraccio tra Immobile e Keita (foto LaPresse)

La leadership di Immobile e gli italianissimi punti di vista di Sarri

Leo Lombardi

L'attaccante della Lazio, da vero leader, ha dimostrato contro il Palermo di sapersi mettere al servizio del gruppo. L'allenatore del Napoli non vince e dà la colpa a arbitri e fatturati 

La prima caratteristica di un attaccante è l'egoismo. Si nasce per il gol, si vive per il gol. Chiedere a Simone Barone, Mondiale 2006. Pippo Inzaghi scatta in contropiede, giunge davanti a Cech e, piuttosto che servire il compagno meglio piazzato, va in dribbling sul portiere della Repubblica Ceca realizzando il 2-0. Barone? Tanti saluti. Ma ci sono delle eccezioni, come Ciro Immobile. Prendete la partita di domenica contro l'impresentabile Palermo, al 9' del primo tempo la Lazio è già 2-0. Due gol di Immobile, che insegue l'Europa con la squadra e la classifica marcatori per sé. Con quelle due reti sale a 20 gol, avrebbe la possibilità di una terza rete, grazie a un rigore concesso poco dopo. Se l'è però procurato Keita, che non ha avuto una stagione facile – dopo le polemiche dell'estate – e sta risalendo la china nei favori dei tifosi. Immobile glielo lascia, per la classifica marcatori ci sarà ancora tempo. Libro Cuore? Può essere. Al centravanti della Lazio tutti riconoscono generosità d'animo. Ma c'è, piuttosto, la capacità di porsi al servizio del gruppo, particolare che trasforma un buon giocatore in un leader. Immobile lo è. Poche parole, raramente fuori posto, e tanti fatti. Fin da quando mette piede alla Juventus, nel settore giovanile. Vince due tornei di Viareggio, con 14 reti eguaglia il record di realizzazioni. Di lui ci si accorge quando va in prestito a Pescara, nel 2011/12. E' la squadra di Zdenek Zeman, che torna in serie A a furia di vittorie e spettacolo. Facile riuscirci quando hai Marco Verratti come regista, Lorenzo Insigne come fantasista e Immobile (28 gol) come centravanti, numeri riproposti due anni dopo nel Torino, dopo una stagione sottotono al Genoa. Con 22 reti vince la classifica marcatori, come non capitava a un granata dal 1977 (Francesco Graziani), per 19 milioni finisce al Borussia Dortmund. E' il 2014, un anno che può sembrare il trampolino di lancio: la convocazione in Nazionale e la chiamata da uno dei club più importanti d'Europa. Ma l'azzurro cola miseramente a picco al Mondiale brasiliano e la Germania si rivela ostile, vuoi perché raccogliere l'eredità di Robert Lewandowski è affare complicato, vuoi perché il tedesco è ostacolo insormontabile. E neppure con il più abbordabile spagnolo va meglio. Immobile ci prova con il Valencia, segna anche al Real Madrid, ma nella Liga dura poco. Meglio tornare nell'accogliente grembo italiano, ancora una volta al Torino. Pochi mesi di prestito, giusto il tempo di fare la conoscenza di Andrea Belotti. Quello che oggi è il suo partner nell'Italia, quello che oggi è un uomo da inseguire nella classifica marcatori. Anche a costo di cedere un rigore.

 

Non recede dalle proprie convinzioni, invece, Maurizio Sarri. Ancora una volta è tornato a ribadire che lo scudetto sarà impossibile per il Napoli. Disfattismo? No, personale certezza che le vittorie arrivino grazie ai fatturati: “Vince chi guadagna di più, difficile che avvenga il contrario”. Una teoria con un suo fondamento, ma spesso smentita da fatti. Come il Leicester vincitore della Premier League la passata stagione oppure come l'Atletico Madrid, giunto alla terza semifinale di Champions League (con due finali raggiunte) nelle ultime quattro stagioni. Una società che nella scorsa annata sportiva ha prodotto ricavi per 233 milioni: 70 in più rispetto al Napoli, è vero, ma nulla in confronto ai 620 del Real Madrid. Eppure questo non ha impedito a Diego Simeone e a una squadra fatta di ottimi elementi ma con pochi campioni (Antoine Griezmann su tutti) di entrare stabilmente nell'elite europea. Anche perché, alla fine, il calcio è fatto di episodi, come il pareggio incassato da Sergio Ramos a tempo scaduto nella finale del 2014, decisivo perché il Real potesse trionfare ai supplementari. O come la serie dei rigori che un anno fa, a Milano, ha consegnato nuovamente la Champion League alle merengues a danno dell'Atletico. Episodi come i pali colpiti dal Napoli contro il Sassuolo, che quest'anno ha obbligato due volte gli azzurri al pareggio e che sicuramente non ha lo stesso fatturato della controparte di domenica. Poi, mal che vada, si può dare la colpa alle decisioni sballate dell'arbitro, come ha fatto Sarri, e la si sfanga sotto un altro italianissimo punto di vista.