Due notizie economiche che non fanno sperare per la fine della guerra in Siria

Eugenio Dacrema

Le mosse monetarie dello Stato Islamico e la guerra dei prezzi del grano fra regime e ribelli indicano che il conflitto siriano potrebbe durare ancora a lungo

È da oltre un anno e mezzo, almeno dall’inizio dell’intervento russo in Siria a fianco di Bashar al-Assad, che si sente parlare di possibile fine del conflitto siriano. Una fine che sembrava a un passo dopo la caduta di Aleppo Est, ultima enclave urbana sotto il controllo dei ribelli, e che sembrava ulteriormente a portata di mano con l’inizio delle trattative di Astana patrocinate da Russia, Turchia e Iran. Una fine che però non sembra arrivare mai.

A confutare nuovamente le ottimistiche previsioni e a confermare che la guerra in Siria potrebbe durare ancora a lungo ci sono almeno due notizie che per una volta non hanno a che fare con offensive o operazioni militari, ma con l’economia.

La prima riguarda la Stato Islamico. Dal 13 maggio gli uomini del califfo hanno infatti vietato l’uso di qualunque altra valuta che non sia il “Dinaro”, la moneta che ISIS ha coniato e reso circolante all’interno dei suoi territori a partire dall’estate del 2016. La mossa costringe cittadini, dettaglianti e mercanti a cambiare le loro lire siriane o i loro dollari in dinari, permettendo così al califfato di incamerare valuta straniera. A questo scopo l’Autorità Monetaria del Califfato ha inoltre fissato al rialzo i nuovi tassi di cambio: un Dinaro vale oggi 155 dollari mentre un Dirham (la principale frazione del Dinaro) ne vale 1,82. Un nuovo organo di controllo, l'Unità di Controllo Economico e Monitoraggio, è stato infine creato per accertare il rispetto della nuova legge. 

Il fatto che ISIS stia cercando di incamerare quante più risorse finanziarie dai territori che ancora controlla è ulteriormente confermato dal fatto che all’inizio di maggio aveva chiesto ai commercianti di Raqqa di pagare la Zakat – la tassa obbligatoria secondo la Sharia – con due mesi di anticipo, temendo probabilmente che presto sarebbe diventato impossibile collezionarla.

Queste mosse evidenziano certamente una crisi interna alla struttura dello Stato Islamico, ormai in forte sofferenza a causa della grande pressione militare a cui è sottoposto sia in Siria che in Iraq. D’altra parte esse mostrano però anche come il Califfato stia pianificando in anticipo le prossime mosse, compreso un probabile passaggio a una fase di guerriglia durante la quale gli sarà molto più difficile estrarre risorse dal territorio. Le riserve accumulate ora potrebbero indicare quindi una strategia volta a proseguire le operazioni militari nel lungo termine ritornando alle tattiche di guerriglia che avevano caratterizzato il gruppo ai suoi primordi.

La seconda notizia che non fa ben sperare per una conclusione nel breve periodo del conflitto siriano arriva invece dal fronte che vede contrapposti il regime di Bashar al-Assad e i ribelli attualmente attestati principalmente nella provincia di Idlib, nella periferia orientale di Damasco e nella provincia di Dara’ lungo il confine giordano. Gli anni scorsi le ristrettezze imposte dal conflitto hanno fatto precipitare il prezzo fissato dal governo per il grano. Già nell’epoca pre-conflitto la maggior parte dei beni agricoli primari venivano infatti acquistati dallo stato a prezzi fissi per poi venire ridistribuiti. Il crollo della valuta nazionale e conseguentemente dei prezzi pagati dal governo hanno però portato molti agricoltori a vendere i propri prodotti sul mercato nero, a emigrare, o a vendere alle milizie dell’opposizione in grado di pagare meglio. Del milione e mezzo di tonnellate di cereali raccolte l’anno scorso il governo è riuscito così ad acquistarne solo 400 mila. La conseguente impennata dei prezzi dei prodotti alimentari nei territori controllati dal regime ha indotto quest’anno il governo ad aumentare del 40 percento (da 100 a 140 lire siriane per chilo) il prezzo pagato per il grano e del 47% (da 75 a 100 lire siriane per chilo) quello dell’orzo in modo da incentivare gli agricoltori siriani a vendere nuovamente allo stato. La contromossa dell’opposizione non si è però fatta attendere. I consigli locali delle città e i villaggi affiliati al Governo a Interim della Coalizione Nazionale – il principale organo politico dell’opposizione – hanno infatti annunciato di voler alzare a loro volta i prezzi per l’acquisto dei prodotti agricoli (143 lire per il grano tenero e 145,8 per il grano duro. Il prezzo per l’orzo non è ancora stato annunciato). Il fatto poi che l’opposizione sia in grado di pagare in dollari grazie ai fondi ricevuti dai donor internazionali rende l’offerta ancora più allentante per gli agricoltori siriani che hanno visto il rapido deprezzamento della valuta nazionale negli ultimi anni passata da 45 lire per dollaro prima del conflitto alle attuali 540.

Il fatto che regime e opposizione abbiano iniziato una vera e propria guerra dei prezzi sui prodotti agricoli significa che entrambi prevedono una estensione del conflitto almeno fino alla fine del prossimo raccolto, e forse perfino di quello successivo. Le due parti sembrano così consolidare il proprio controllo sui loro rispettivi territori e prepararsi per affrontare nuovi mesi di conflitto. O almeno così suggerisce il prezzo del grano.

 

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