Viale Mazzini

La pipa di Giampaolo Rossi: "Abbiamo ereditato una Rai da brividi"

Carmelo Caruso

"Conta la sopravvivenza della Rai, basta agli spifferi contro l'azienda. Serve un anno per giudicare un management. Palinsesto assemblato in un mese". I pensieri del direttore generale voluto da Meloni

Roma. Abbiamo trovato la pipa di Giampaolo Rossi, il direttore generale della Rai, l’uomo che per Giorgia Meloni si occupa di televisione. Come quella di René Magritte, che non era una pipa, pure questa non è un’intervista. La pipa è  ancora calda, con del tabacco. L’ha dimenticata in un caffè surrealista. Una boccata: “Ho profondo rispetto dei giornalisti, stima dei critici televisivi, ma trovo pigro quel giornalismo che racconta la Rai con morbosità, trovo piccine le cattiverie di  chi si esercita nel parlar male dell’azienda in cui lavora. Ci sono quotidiani che ormai copiano altri quotidiani pur di irriderla e che si esercitano nel tiro al piattello Rai. La Rai scatena la fantasia di chi dice ‘vendiamola’ quando l’interesse di tutti dovrebbe essere farla sopravvivere. Di sicuro è l’interesse di chi la guida adesso, di un amministratore delegato straordinario, di un gruppo di lavoro che ci sta provando malgrado una Rai ereditata che è da brividi, malgrado le critiche feroci, il più delle volte, dispiace dirlo, interessate”. E’ mattina. Al caffè Dalì, dove Rossi ha abbandonato la pipa, il televisore è sintonizzato su Rai 3. Gli ascolti di Agorà contestati, quelli di Pino Insegno da dimenticare. Un’altra boccata di tabacco. “Fare televisione è qualcosa di complesso. Accusare e dire che la Rai precipita negli ascolti, fa flop, dopo neppure un mese dall’avvio della programmazione, è come dire che i quotidiani perdono copie per colpa di chi ci scrive, a prescindere. Quando si commenta la crisi dell’editoria si parla di passaggio d’epoca, e giustamente. Anche in televisione occorre analizzare il pubblico, l’età che cambia. Mi piacerebbe che si parlasse di questo, della grande sfida che attende la televisione generalista, anziché delle piccole frustrazioni che ci sono ovunque, in qualsiasi luogo di lavoro. Solitamente, in Rai, c’era una regola non scritta. Quando un nuovo management si insediava, si lasciava almeno un anno prima di parlarne male, prima di condannare dei palinsesti che, ricordo, sono stati assemblati in un mese. E’, ancora, come in un giornale quando, il caporedattore, dieci minuti prima della chiusura, scopre di non avere il pezzo dell’inviato previsto in pagina. Bianca Berlinguer ha lasciato la Rai comunicandolo a ridosso della presentazione dei palinsesti. Chi è arrivato ha dovuto fare i conti con una riforma dei generi che non è mai stata attuata. Con un piano industriale mai approvato. C’era una Rai ferma da mesi”. Fino a poco tempo fa, in Rai, si fumava molto (Carlo) Fuortes. Diamo ancora un po’ di fuoco alla pipa. “La Rai ereditata, quella della passata gestione, è una Rai immobile dal 2013”. C’è fumo di Superbonus, di buco, anche in Rai. Rossi di paura? Inaliamo ancora. “L’impegno è uno solo: mettere in sicurezza la Rai. Una Rai che dovrà presto presentarsi sul mercato, un’azienda che ha il canone più basso d’Europa, pur offrendo i servizi più innovativi d’Europa. Programmi per minoranze linguistiche, strutture di pubblica utilità per non udenti. La Rai è obbligata a produrre contenuti in lingua ladina, friulana. Quale privato sarebbe disposto a farlo? La Rai è come una stazione ferroviaria. Il treno passa, non dimentica nessun piccolo paese. C’è per tutti. E’ la ragione che fa ancora della Rai una televisione imprescindibile per la democrazia, una garanzia di pluralismo previsto per Costituzione”. Pure la destra scrive ‘vendiamo la Rai’. Giuseppe Conte invece, quando sente parlare di Rai, fa il Mercante in fiera. Scarta pacchetti di nomine, una dopo l’altra. Ci fumiamo sopra? “Sarebbe il caso di ragionarci. Nel Contratto di servizio, approvato, in tempi record, per la prima volta si mette nero su bianco che la Rai può ottemperare a quel contratto solo se ci sono le risorse compatibili. E’ una garanzia per la Rai, la garanzia che la Rai può ancora svolgere il suo ruolo di servizio pubblico solo  con il denaro necessario. La Rai non la vende nessuno anche se la difendono sempre in pochi”. In pochi fumano la pipa. “Ma questa non è una pipa”. E infatti è una non intervista. “Ecco”. Ceci n’est pas un Rossi.

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  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio