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Taylor Swift non è una militante liberal abbastanza zelante. Questione di reputation

La cantante che fu di Nashville ha promosso il disco evitando le copertine, le interviste, i passaggi in radio e prendendo velatamente in giro – a partire dalla copertina – i giornali che fanno e disfano le reputazioni

Uno dei molti vantaggi di essere Taylor Swift è poter intitolare un album Reputation potendosene fregare della reputazione. Fregare fino a un certo punto, s’intende, ma quando il disco vende un milione di copie in due giorni significa che il potere negoziale dell’artista è piuttosto alto. Nemmeno i video rubati da Kim Kardashian mentre parla al telefono con Kanye West possono scalfirla.

 

La cantante che fu di Nashville ha promosso il disco evitando le copertine, le interviste, i passaggi in radio e prendendo velatamente in giro – a partire dalla copertina – i giornali che fanno e disfano le reputazioni. La sua interazione con i giornalisti è limitata a un paio di passaggi televisivi esclusivamente musicali e a citazioni con i cuori su Instagram delle recensioni positive. Ma non è il sottrarsi, il tirarsela, il capo d’imputazione più grave mosso alla diva. Il peccato supremo è quello di non essere un’attivista abbastanza attiva in questi tempi di resistenza permanente a Donald Trump, all’orco che si cela in ogni maschio, alle brutture dell’evo contemporaneo.

 

L’omissione è la forma più grave di questi tempi, e i complici silenziosi sono, se possibili, anche più reprensibili dei colpevoli diretti. L’attrice che non s’esprime sul regista-molestatore è moralmente equivalente a Weinstein, e per la stessa logica la silente Swift, in materia d’attualità, è una suprematista bianca che non ha ancora rivendicato la propria appartenenza. La rivista Marie Claire ha fatto l’elenco delle “cose che Taylor Swift avrebbe dovuto mettere a tema nel suo Reputation e non ha fatto”, e la prima (e più grave) voce è: “La sua decisione di rimanere apolitica durante la campagna elettorale del 2016”.

 

Quante implicazioni ci possono essere in un rimprovero.

 

La prima è che l’artista deve necessariamente essere militante. Ci siamo talvolta lamentati, in epoca pre Trump, delle prediche politiche dal palco di certi cantanti engagé che tolgono spazio alla musica, ma ora l’asticella è stata spostata un gradino più in alto. Fare campagna elettorale è il pedaggio minimo per l’accettazione sociale.

 

La seconda implicazione è che Swift, ovviamente, avrebbe dovuto sostenere Hillary Clinton: tutti gli artisti devono essere democratici, se non vogliono fare la fine di Kid Rock. Swift ha pubblicato una foto in attesa del voto, indossava una maglia che lasciava le spalle scoperta, forse una citazione di un vecchio vestito di Hillary e dunque una indicazione di voto criptata, ma non è stata abbastanza zelante. Hanno aspettato l’uscita dell’album per tentare di infangarle la reputation.

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