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Tra le colpe dei boomer la più grave è avere riposto la fiducia in ideologie che hanno fallito

Secondo Bruce Cannon Gibney la generazione dell’entusiasmo e della ripresa è in realtà una generazione di sociopatici che ha contrabbandato all’America e al mondo soltanto illusioni e soddisfazioni effimere

Tutti i libri che danno la colpa agli altri hanno un importante valore terapeutico, e “A Generation of Sociopaths: How the Baby Boomers Betrayed America” non fa eccezione. L’autore è Bruce Cannon Gibney, un venture capitalist e scrittore della generazione X che traffica nella Silicon Valley, e la sua tesi è chiara: è colpa dei baby boomer. La generazione dell’entusiasmo e della ripresa è in realtà una generazione di sociopatici che ha contrabbandato all’America e al mondo soltanto illusioni e soddisfazioni effimere, lasciando i loro successori più poveri e incerti. Quali sono le colpe da imputare ai boomer? Eccone alcune: le disuguaglianze economiche, la spesa pubblica fuori controllo, un welfare che non funziona, pensioni inesistenti, ideologie inconcludenti, sfiducia nelle istituzioni, taglio con le tradizioni. I boomer, scrive Gibney, hanno dimezzato il tasso di risparmio delle famiglie americane, non hanno ricostruito il tessuto sociale sfilacciato dopo il Vietnam e non hanno fatto nulla per contrastare i cambiamenti climatici o, più in generale, per proteggere l’ambiente. Questo dipende da un sostanziale scollamento con la realtà, dalla sociopatia diffusa: “Sono la prima generazione moderna che nutre sentimenti negativi verso la realtà e la scienza”.

 

Il grande trasferimento dell’esperienza dal regno della ragione a quello delle emozioni è una delle chiavi interpretative della generazione imputata di cui si avvale Gibney, immerso nella cultura ultrapositivista della datificazione che domina l’ambiente tecnologico. Le osservazioni più interessanti del libro non riguardano il tentativo di psicanalizzare una generazione o di rintracciarne i caratteri, ma hanno a che fare con il rapporto con l’ideologia. I boomer sono stati in larga parte definiti dalla devozione ideologica, sia che si trattasse del radicalismo anti Vietnam, della controcultura, dello zelo per i diritti civili o dell’adesione alla destra religiosa. Le culture war contemporanee sono nate con i boomer. Ma le ideologie su cui questa generazione s’è poggiata per cambiare il mondo si sono piegate, e il mondo è invero cambiato, ma in molti sensi in peggio.

 

Una confusione esistenziale

Le grandi battaglie per l’avanzamento dei diritti hanno lasciato come eredità aggiuntiva anche una grande confusione esistenziale, tanto che, all’occhio di Gibney, i protagonisti di quella stagione sembrano sociopatici concentrati soltanto su se stessi. Allora, tuttavia, erano esempi di solidarietà, pionieri di nuovi modelli sociali, apripista di un mondo pronto a ritrovare finalmente una relazione armonica con l’altro dopo l’era della brutalità e dei massacri. I boomer dovevano riscattare le brutture della prima metà del ventesimo secolo, e in parte credevano di averlo fatto, ma si sono dovuti appellare alle stesse categorie ideologiche che si proponevano di smantellare. Gibney usa la sociopatia per raccontare il grande tradimento generazionale, ma altri hanno detto che era soltanto un problema di narcisismo e introflessione, un rammollimento di caratteri che certo doveva sembrare ancora più accentuato dal confronto con la “Greatest Generation” che aveva affrontato senza lamentele la Grande Depressione. Dal libro di Gibney, però, si potrebbe anche dire che si tratta della generazione marcata innanzitutto dalla fiducia nelle ideologie, e che le frustrazioni e tradimenti di cui è insieme protagonista e imputata non sono che le conseguenze del fatto che la fiducia era mal riposta.

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