La politica industriale

Politica industriale, innovazione e concorrenza

Carlo Stagnaro

Il Dottor Amato dei primi anni Novanta e il Signor Giuliano del 2017

Per fare innovazione serve la vecchia politica industriale? Sembra suggerirlo, senza dirlo in modo troppo esplicito, l’intervista concessa da Giuliano Amato ad Aldo Cazzullo sul Corriere della sera.

Dice Amato:

Quando questo [l’impoverimento dei ceti medi] arrivò, noi avevamo quasi smantellato l’intervento pubblico sul quale si era costruito il secolo socialdemocratico. Io stesso, presidente dell’Antitrust all’inizio degli anni Novanta, dicevo che ormai la politica della concorrenza era l’unica politica industriale che ci serviva. Ci siamo accorti dopo che non era così; perché la promozione dell’innovazione tecnologica e il suo trasferimento nell’impresa almeno in taluni Paesi, e di sicuro nel nostro, hanno bisogno di un intervento pubblico.

Non voglio discutere l’impoverimento del ceto medio, tema su cui rimando a Brusco e Tinagli. Mi interessa piuttosto il passaggio su politiche industriali e innovazione, che vorrei decomporre in due parti. Anzitutto, il presunto smantellamento dell’intervento pubblico. Ci sono molti modi di raccontare questo “smantellamento”, ma a me piace farlo così: 

 

Italia 2016

 

Spesa pubblica (% Pil)

49,6%

Total tax rate (tassazione sulle imprese in % sugli utili)

62%

Imprese a partecipazione pubblica (% capitalizzazione di borsa)

27%

Indice della libertà economica (0-100)

62,5

La seconda parte è più interessante: serve o non serve l’intervento pubblico per promuovere l’innovazione? La risposta più onesta è: dipende. Dando per scontato che vi sia un interesse generale nel sostenere le attività innovative, quello che conta è che tipo di intervento pubblico abbiamo in mente. Se Amato pensa a politiche “orizzontali”, come la detassazione degli investimenti in R&S&I, la tutela brevettuale, e in generale la riduzione del carico fiscale e soprattutto regolatorio, allora è difficile essere in disaccordo (qui, quo, qua). Aveva ragione l’Amato dei primi anni Novanta: la miglior politica “industriale” è la competition policy. Se invece l'Amato del 2017 allude al ritorno a politiche “di filiera”, nell’ambito delle quali lo Stato gioca un ruolo di primo piano nell’individuare i settori e le imprese su cui investire, di queste politiche sono piene le fosse (cip, ciop).  

Il punto essenziale è semplicemente questo: è vero che l’Italia ha un drammatico bisogno di innovare. La ragione per cui le imprese italiane non sono abbastanza innovative, però, non è la latitanza dello Stato, ma la sua onnipresenza.