Illustrazione a partire da foto Evening Standard/Getty Images (elaborazione grafica di Enrico Cicchetti) 

una fogliata di libri

Il sesso come unico sollievo, secondo Stanley Kubrick

Michele Silenzi

Gli ultimi due film del regista, immenso narratore, si concludono con l’evocazione (letteralmente) di una scopata come ricomposizione dell’ordine dopo la discesa agli inferi. Il reale appare come qualcosa di insensato al di là del piacere che permette di sopravvivere

Dopo l’esaustività narrativa dei romanzieri dell’Ottocento e del primo Novecento, dopo l’evento narrativo assoluto, miniera infinita di trame, eventi e sconcertanti visioni dello spirito che è stata la Seconda guerra mondiale, è difficile per un autore raccontare qualcosa di “nuovo” che non sia già stradetto. E allora, forse, un narratore davvero grande può dedicarsi solamente alla costruzione di strutture formali capaci di leggere gli eventi attraverso la loro limpida razionalità. E quello che meglio di tutti rappresenta un tale narratore è Stanley Kubrick. Le sue visioni cinematografiche, nelle perfette geometrie e nei sinuosi flussi, sono come categorie kantiane dello sguardo attraverso cui filtrare il reale

 
E’ noto che Kubrick si sia misurato con tutti i generi. Ma i generi non sono altro che tipi di racconti dell’umano colto in istanti diversi. Come i tipi psicologici, di generi ce ne sono un tot, ma questo non significa esaurire l’intero universo umano in dati sintetici, solo muoversi lungo direttive canonizzate. L’avere utilizzato sempre soggetti non originali, libri a volte celeberrimi altri del tutto sconosciuti, spesso stravolgendoli, è una conferma del suo essere narratore assoluto: dedito a costruire forme più che a ordire trame

  
I suoi due ultimi film, diversissimi sotto ogni aspetto se non per l’inconfondibile forma, si concludono in modo di fatto identico. E questo è sorprendente. Sorprendente perché uno è ambientato durante la guerra del Vietnam e l’altro nella vita di una giovane coppia di successo in una New York contemporanea. Ma sia “Full metal jacket” sia “Eyes wide shut” si concludono con l’evocazione del sesso (letteralmente di una scopata) come unico sollievo, come ricomposizione dell’ordine dopo la discesa agli inferi

 
Nel primo, il soldato Joker, dopo avere ucciso una giovane donna cecchino, marciando in formazione con i suoi commilitoni pensa al ritorno a casa, alla scopata che lo attende, al fatto che è felice di essere sopravvissuto nonostante viva in un mondo di merda e di non avere più paura. In “Eyes wide shut”, dopo essersi immischiati in qualcosa più grande di loro, i coniugi Cruise-Kidman si trovano in un negozio di giocattoli. Lui è ancora sconvolto per ciò che ha visto, per il rischio che ha corso. Ma il suo desolato momento depressivo è salvato dalla forza della moglie, dal suo meraviglioso realismo: lei dice che dovrebbero essere grati per essere sopravvissuti alle loro avventure e poi evoca la scopata come unico modo per riappropriarsi di ciò che è reale. Solo il corpo è reale, solo scopare è reale ed è prova di essere davvero sopravvissuti. Sembra non esserci altro. 
Non è un modo grandioso di concludere un’ineguagliabile carriera di artista? 

  
Questi finali si mostrano come un momento di lucidità assoluta, di trasparenza della realtà a se stessa. Il momento in cui non ci si può più raccontare alcuna storia, in cui non si può fingere di credere ad Altro, a una qualche realtà alternativa (come sono tutte le storie). Ossia, se ci si pone con lucida e conseguente razionalità di fronte al mondo, non ci si può più raccontare niente, non si può più davvero volere nulla che non sia finalizzato ad assicurarsi benessere e sesso, unici farmaci in grado di garantire la sopravvivenza. Anzi, non sesso, che è sempre un qualcosa di concettuale, ma una scopata, ossia il puro atto effimero e concretissimo del piacere. 

 
Il reale, nella sua disvelata verità formale, appare con Kubrick come qualcosa di insensato al di là del piacere che permette di sopravvivere. Sembra non restare niente altro di certo e sembra che la narrazione della vicenda esistenziale giunga a una conclusione convincente per quanto desolante. Tuttavia si possono sempre richiudere gli occhi (ossia il contrario di “Eyes wide shut”) e continuare a sognare. Oppure si può prendere questa certezza raggiunta e tentare di andare oltre.

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