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una fogliata di libri

Lo scrittore, il romanzo e quello sfigato di X

Marco Archetti

Il beffardo realismo dell'inverosimile, capace di ingannare...anche la fonte di ispirazione

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Storiella capitata a uno scrittore. Durante la scrittura di un romanzo, per creare un personaggio che chiameremo X, lo scrittore si ispira alle vicissitudini e al carattere di una persona conosciuta anni prima. Una persona disastrosamente fallimentare nella vita privata, gravemente ottuso in quella lavorativa, ridicolo e scollato dalla percezione di se stesso. In prima stesura lo scrittore riversa nel suo personaggio le caratteristiche di quella persona, e lo fa in scala – diciamo – uno a uno, dando forma a un ritratto fedele dell’uomo a cui è ispirato. Ovviamente lo scrittore non lo ammetterebbe nemmeno sotto i colpi della tortura dello stivale malese, e questo perché... (è utile ricordarlo in un’epoca come questa in cui lo scrittore si sta trasformando in un astemio esistenziale che dice sempre la cosa giusta, pensa sempre la cosa migliore e poi conciona, promuove la propria intelligenza, combatte la mafia su Twitter, fa la Resistenza su Facebook brandendo uno scolapasta, critica l’economia cavalcando la scopa di un diploma al Classico, posta scatti in cui è immortalato mentre pensa, anzi medita, avvolto, anzi circonfuso, da barbagli di tramonto) ...questo perché uno scrittore è, in realtà, ben altro. Ed è uno stronzo monumentale.

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Storiella capitata a uno scrittore. Durante la scrittura di un romanzo, per creare un personaggio che chiameremo X, lo scrittore si ispira alle vicissitudini e al carattere di una persona conosciuta anni prima. Una persona disastrosamente fallimentare nella vita privata, gravemente ottuso in quella lavorativa, ridicolo e scollato dalla percezione di se stesso. In prima stesura lo scrittore riversa nel suo personaggio le caratteristiche di quella persona, e lo fa in scala – diciamo – uno a uno, dando forma a un ritratto fedele dell’uomo a cui è ispirato. Ovviamente lo scrittore non lo ammetterebbe nemmeno sotto i colpi della tortura dello stivale malese, e questo perché... (è utile ricordarlo in un’epoca come questa in cui lo scrittore si sta trasformando in un astemio esistenziale che dice sempre la cosa giusta, pensa sempre la cosa migliore e poi conciona, promuove la propria intelligenza, combatte la mafia su Twitter, fa la Resistenza su Facebook brandendo uno scolapasta, critica l’economia cavalcando la scopa di un diploma al Classico, posta scatti in cui è immortalato mentre pensa, anzi medita, avvolto, anzi circonfuso, da barbagli di tramonto) ...questo perché uno scrittore è, in realtà, ben altro. Ed è uno stronzo monumentale.

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Un saccheggiatore privo di moralità. Uno che mente, inventa e ruba. Insomma, uno scrittore, dunque anche il nostro scrittore, è uno che viene pagato proprio perché è bravo a mentire, inventare e rubare, e l’unica fedeltà che conosce è quella che gli è inevitabile, quella che gli impone la necessità narrativa coi suoi palinsesti inaggirabili, i quali lo pigiano all’interno di regole ferree cui lui si piega senza protestare, dato che – è bene ricordarlo – stiamo parlando di uno scrittore vero, non di un grafomane domenicale che si autopubblica. Ma torniamo a noi. Offerta in lettura metà del romanzo al proprio agente, costui gli telefona e gli dice: “Molto bene, ha un bel passo, la storia è a fuoco, ma – è solo una sensazione, eh – ho una piccola riserva sul personaggio di X”. Lo scrittore drizza le antenne: “In che senso, riserva?”. E l’agente: “Ho detto piccola”. Lo scrittore: “Hai detto riserva”. L’agente: “Mah, a esser sincero, mi pare non sia del tutto... credibile”. Lo scrittore trema come un filo per i panni al cospetto del temuto aggettivo: “In che senso, non del tutto credibile?”. E scopre che il senso è: nella realtà, uno così, non esiste. O meglio, è molto difficile che esista. Lo scrittore ha dato forma a un personaggio di cui il lettore potrebbe diffidare, trovandolo poco – uh! – realistico.

 

Lo scrittore passa un paio di notti agitate ma si guarda bene dal rivelarlo a qualcuno, convinto (giustamente) che tutti abbiano problemi più seri del suo, che al momento è quello di vegliare la propria anima che, nottetempo, si rivolta come una frittella, combattuta tra necessità narrative, sfida al realistico e (eccesso di?) fiducia nelle proprie traiettorie (auto)critiche. Pensa, rimugina e saltella, alla fine lo scrittore lascia tutto com’è e non ripulisce il personaggio dai cascami poco credibili. Tiene presente quel rischio, ma decide di camminare sul filo teso tra credibile e non credibile, e di mettersi a lavorare sodo affinché sia credibile il tono con cui racconta, più che il personaggio. Decide, cioè, di preoccuparsi della qualità della scrittura e non di un’idea facilotta di “adesione”.

 

Un anno dopo, ecco che il romanzo esce. Il personaggio X vive tra le pagine, sotto gli occhi dei lettori, pressoché intatto, ritratto fedele dell’uomo che lo scrittore ha conosciuto. Si dà il caso che, un giorno, lo scrittore incontri proprio lui, proprio quell’uomo, saltuario lettore dei suoi libri. Ce l’ha davanti: l’uomo disastrosamente fallimentare nella vita privata, gravemente ottuso in quella lavorativa, ridicolo e scollato dalla percezione di se stesso – preciso sputato al personaggio che ignora di aver generato. Allo scrittore battono le ginocchia come nacchere, ha paura, balbetta, è un codardo come tutti gli scrittori, quindi teme che l’uomo si sia riconosciuto e adesso lo redarguisca per strada, in mezzo a tutti, che lo trascini in una rissa e lo sputtani duramente, ispirandosi alla moglie di Carrère. Ma l’uomo, incredibilmente, loda il romanzo. E continua a mostrarsi cordiale. Poi fa per andarsene, ma torna sui suoi passi. Scuote la testa e, timidamente, aggiunge: “Solo una cosa. Quello sfigato di X... Be’, mi ha fatto molto ridere. E’ davvero stupendo, un vero imbecille. Però non è molto realistico, non pensi? Cioè, lo è giusto in un libro. Ma nella vita vera, dico... nella vita reale... Te lo immagini, uno così?”.

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