Di guerra e di noi
Recensione del libro di Marcello Dòmini edito da Marsilio, 670 pp., 21 euro
Medico chirurgo e docente universitario, Marcello Dòmini esordisce in letteratura con un romanzo-fiume, ambientato nell’Italia dilaniata dalle due guerre mondiali e dalla dittatura.
Ricciotti è un ragazzino di appena nove anni, quando apprende della morte del padre, caduto sul Carso. I destini suo e del fratellino, Candido, devono necessariamente separarsi: il piccolo resta in campagna nel mulino di famiglia, con la madre; Ricciotti invece è costretto a misurarsi con la durezza del collegio, deve crescere in fretta e imparare a difendersi.
“Sono stato fascista, come sai bene – dice Arpinati – e anch’io da giovane ero irruente, affrettato, impaziente. Volevo tutto e lo volevo subito. L’attesa per me era noia, tempo perso, non bisognava aspettare, mai. Poi mi hanno mandato al confino e lì ho imparato che la noia non esiste: è la nostra mente a crearla. Ho imparato che tutto ha un senso e saper aspettare è qualcosa che c’entra con la filosofia”.
Arriva la guerra, il tempo dell’odio e della vergogna, con il suo inevitabile portato di assurdità, di violenza, di disposizioni grottesche e irrazionali. La vita quotidiana è sconvolta dal mercato nero, da soprusi piccoli e grandi, fino ai bombardamenti, alla lotta partigiana, alle rappresaglie. Di tanto in tanto, il tono epico e tragico del romanzo si stempera nell’allegria di qualche episodio da burla, e nel frequente ricorso al dialetto romagnolo, che conferisce al racconto il timbro di un’ironia popolaresca.
Di guerra e di noi è un libro toccante e amaro, che distribuisce con criterio equanime torti e ragioni, e che non nega a chi ha sbagliato l’opportunità di un riscatto. Arriva infine la Liberazione, e con essa la vendetta, quella particolare forma di giustizia che non sa distinguere e che non lascia scampo.
“Non esiste l’uomo nuovo, Ciotti. Esiste l’uomo, che è sempre lo stesso da migliaia di anni”.
Di guerra e di noi
Marcello Dòmini
Marsilio, 670 pp., 21 euro