Le belle contrade
Piero Camporesi, Il Saggiatore, 216 pp., 22 euro
Lodevole l’iniziativa del Saggiatore: ripubblicare le opere di Piero Camporesi. Dopo “Il pane selvaggio”, è il turno de “Le belle contrade”. Camporesi, scomparso nel 1997, è stato una singolare figura di filologo, storico e antropologo. Titoli altisonanti per un autore che come pochi ha saputo raccontare l’Italia antica, dal Medioevo ai primi barlumi del tempo moderno, illustrandone il folklore, le arti e i mestieri, la percezione che della vita aveva l’uomo di quel tempo. Ma non si creda di trovarsi tra le mani libri per iniziati, buoni solo per studenti e studiosi. Tutt’altro. Perché Camporesi è stato prima di tutto uno scrittore.
Una lingua sciolta, personale, tortuosa e piena di allegra empatia, la sua. Infatti leggere “Nascita del paesaggio italiano” è un
Basti pensare alla descrizione che il Leandro Alberti fa dell’isola d’Elba: “Nel mezzo d’essa è una fontana la quale sparge grand’acqua, tal che rivolge molti molini, ed è di tal natura che la cresce e scemasi secondo lo crescere e scemare dei giorni”. Delizie per studiosi del tempo antico e moderno. Perché qui protagonisti sono la terra e l’uomo. Com’è d’uopo per un antropologo come Piero Camporesi. Che da studioso che si rispetti restituisce uno spaccato di vita vera, vissuta, tra le contrade di quegli anni remoti. Con molte concessioni allo stile e alla bellezza, perché il suo italiano è un capolavoro di chiarezza, nell’abilità innata di incatenare alle pagine che hanno solo i veri scrittori.