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​​​​​​​I meme sono già storia (dell'arte)

Giulio Silvano

L'utilizzo dei meme per fare campagna promozionale è diventato ormai un fenomeno di costume, coinvolgendo addirittura l'arte e la cultura ufficiale. Due esempi virtuosi (e divertenti)

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La velocità con cui i meme vanno a ramengo è strabiliante, un sessantenne non fa in tempo a googlare su Bing “cos’è Squid Game” che i brand stanno già sfruttando il nuovo hype coreano per vendere biscotti, automobili, abbonamenti. La rapidità di propagazione è insita nella natura del meme, certo, ma è triste vedere piccole azzeccatissime opere d’ingegno e di humor sciupate in questo modo. E’ successo di recente con un meme nato bellissimo – “evil be Like”: il primo che ho visto in giro era “Evil Beach Boys be like… wouldn’t it be horrible”, splendido – distrutto poi dall’egocentrismo (molti utenti si sono messi a personalizzarlo facendogli perdere la sua natura) e dai content creator a partita Iva.

 

Ma l’uso dei meme per fare campagna promozionale – che segue l’onda già invecchiata degli ormai famosi Social Media Manager sbarazzini di grossi marchi, come fece Wendy’s su Twitter nel 2017, diventando un caso – è penetrato ormai anche nella Cultura e nell’Arte. La prestigiosa e sabauda Fondazione Sandretto Re Rebaudengo da tempo segue questa linea e l’altro giorno sul suo profilo Instagram ha postato un “Evil fondazione SRR be like… la comunicazione sui social deve essere istituzionale e formale”, sottolineando in forma meta come la propria identità comunicativa si basi sull’esser scanzonati e à la page col linguaggio millennial. Già sottolinearlo fa l’effetto opposto, come un Mr Burns vestito da giovane ribelle grunge che cerca l’approvazione degli studenti della scuola elementare di Springfield. Così i post della Fondazione Sandretto propongono un’aggressiva carriolata cringe del catalogo italico (Corrado Guzzanti, Franca Leosini, Boris, Aranzulla, Verdone) e hollywood-netflixiano (Joker, Black Mirror, Jojo Rabbit, Stranger Things e, ovviamente, Squid Game). E così anche il nome aristocratico Re Rebaudengo, in questo guazzabuglio di citazionismi, finisce per sembrare una gag fantozziana, un contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare.

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Il problema del giocare con/sfruttare i meme è che bisogna saperlo fare bene. L’account ufficiale dell’istituto dell’Enciclopedia Italiana, Treccanigram, ad esempio, con meno autoreferenzialità pubblicitaria, sa già mettere un po’ più di finezza estetico-contenutistica, pescando da un campionario memico più sofisticato per “spiegare cose”: Scooby-Doo, Goya, The Office, Dragon Ball, Donnie Darko, alternati a post più seri. 


Generosissima coi giovani artisti, fulcro del quartiere borgo San Paolo – rigenerazione urbana, ex fabbriche e giardinetti in cui si incontrano opere di Penone, Per Kirkeby e Mario Merz – la Fondazione Sandretto e la sua creatrice, la “signora dell’arte a Torino”, come è spesso stata chiamata dai quotidiani, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo (vive nella casa dove son cresciute Carla Bruni e Valeria Bruni Tedeschi), con il loro blasonato minimalismo contemporaneo non sembrano rispecchiati dalla logica narrativo-spettacolare del profilo Instagram. Di recente hanno ripostato un montaggio video con il volto dell’influencer di Cremona alternati a ritratti d’arte e a Piero Angela con canzoncina in rima: “Pleeeese Ferragni come to visit Musei Egizi ‘cause we want to be famous like Uffizi”. Ma è lo zeitgeist, bellezza. 

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