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Il capolavoro di MasterChef che migliora di puntata in puntata

Mahatma

Concorrenti dal potenziale enorme come non si vedeva da tempo, prove gradevoli e giudici essenziali. E’ la dimostrazione che una liturgia rigida può rinnovarsi senza essere snaturata

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Ottantanove a undici era un risultato che a MasterChef (in onda ogni giovedì alle 21.15 su SkyUno) non si vedeva da tempo. Ci raccontavano (quasi) sempre che le prove in esterna erano combattutissime, che i rossi avevano convinto con il primo ma che il dolce dei blu era stato insuperabile. Stavolta, no. Risultato che neanche il caro vecchio Lukashenko in Bielorussia. Eppure, dal sapiente montaggio – vero punto di forza di questo show culinario – non sembrava che le distanze fossero così nette, anzi. La simpatica Anna aveva mostrato qualche difficoltà nel preparare le polpette per i cento aviatori di Pisa, venendo pure rimproverata dal burbero Cannavacciuolo. Gli altri, perfettini e fighetti, parevano destinati alla gloria. Invece sono stati spediti all’inferno, con un bel calcione là dove non splende il Sole.

 

A ogni modo, il livello si conferma alto. Finalmente. Ci interessa vedere i concorrenti spadellare, non raccontare della propria infanzia difficile, della precarietà della vita, delle crisi famigliari. Non vogliamo, cioè, assistere a tutto ciò che negli ultimi anni aveva preso un po’ il sopravvento in MasterChef. Devono averci letto o ascoltato, tant’è che per ora è il piatto l’unico principe della trasmissione. Poca introspezione dei personaggi (Deo gratias), poche chiacchiere inutili. La stessa quaterna dei giudici va dritta al sodo: Barbieri non si perde in svolazzi, Bastianich non spacca stoviglie, Cannavacciuolo fa il serio, Locatelli è perfetto. Speriamo si vada avanti così, perché sarebbe la dimostrazione perfetta di come un programma con una formula rigida possa essere innovato senza intaccarne l’anima.

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La prima prova aveva come tema il colore bianco. Tanti ingredienti tutti bianchi. Compito affidato ai concorrenti: comporre una tela usando una cassetta di colori (spezie, verdure, eccetera). Difficilissimo, ma ben otto – novità assoluta – hanno convinto i giudici. Di solito venivano chiamati davanti al banco non più di tre aspiranti chef. Invention test particolare: dopo aver diviso la classe in due gruppi (deboli e forti a seconda di come avevano cucinato nella Mystery Box), ai fornelli sono rimasti solo i forti. Dovevano preparare una pasta e fagioli, e qui in parecchi sono caduti. Si va in esterna, nella base militare di Pisa presidiata dalla quarantaseiesima brigata aerea e come già detto hanno stravinto i Blu, dopo che i più forti – sulla carta – erano tutti o quasi dall’altra parte. Un colpo di scena. Infine, il Pressure test. Uova, uova, uova: di quaglia per una maionese, di gallina per un uovo in camicia, di struzzo per una omelette. Risultati insoddisfacenti, ma è difficile che dal Pressure nasca qualcosa di buono, stando ai precedenti. Alla fine a casa ci va Paola, la sua omelette col salmone era “immangiabile”, ha detto Locatelli. Un solo eliminato, perché all’Invention nessuno era stato così pessimo da dover tornare a casa.

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