E se fosse il momento buono per gli smart glasses di Facebook e Ray Ban?

Andrea Trapani

Se cinque anni fa i Google glass furono un fallimento non è detto che gli occhiali connessi di Menlo Park facciano la stessa fine. I tempi sono cambiati. Resta il problema della privacy

Quando è arrivato il comunicato che confermava l’uscita degli occhiali nati dalla collaborazione tra Facebook e Ray Ban molti addetti ai lavori sono tornati indietro di almeno cinque anni.

Il pensiero è andato subito a Google che, dopo anni di proclami, previsioni e articoli entusiasti, si era arresa proprio sulla commercializzazione dei propri “smart glasses”, gli occhiali connessi che avrebbero dovuto proiettare nei nostri occhi video e informazioni anche mentre camminavamo. Il mercato però è stato crudele e li aveva bocciati senza appello ritenendoli troppo poco utili.

Nonostante queste premesse, il lancio del nuovo prodotto riparte cercando di ripercorrere quella strada: “Siamo felici di annunciare il lancio dei Ray-Ban Stories, gli smart glasses che offrono la possibilità di catturare foto e video in modo autentico, di condividere le avventure e ascoltare musica o rispondere alle telefonate, per rimanere in contatto con amici, familiari e tutto ciò che ci circonda”, recita il comunicato congiunto delle due società.

 

Le altre idee fallite che poi sono diventate un successo

Sorpresi? Forse non dobbiamo esserlo visto che potrebbe non essere una scommessa persa la scelta di ripartire da un prodotto che sembrava avesse fallito nella sua missione. A volte alcuni prodotti sono semplicemente arrivati troppo presto sul mercato. Nel nostro paese ci sono stati già casi clamorosi. Quando la fu H3G nel 2003 lanciò le videochiamate, assieme ai suoi servizi UMTS, non ottenne particolari successi. Eppure sarebbe bastato attendere meno di tre lustri per vedere l’affermazione di Facetime e di tutte le altre piattaforme nate per fornire un servizio che i pionieri del 3G bocciarono senza pietà. Stessa sorte per la tv mobile, protagonista ancora una volta Tre con le scelte futuristiche di Vincenzo Novari: probabilmente il DVB-H non era la tecnologia giusta visto che i produttori di smartphone non seguirono l’innovazione fornendo solo pochi prodotti compatibili, ma oggi la televisione in mobilità è una realtà affermata. La tv mobile nel 2021 è integrata in tutti i servizi in streaming tanto da essere diventata indispensabile. Citofonare a casa DAZN per avere conferma.

 

Una scommessa tra follower e privacy

Insomma, anche se i Google Glass sono stati probabilmente uno dei più clamorosi fallimenti della società di Mountain View non è detto che lo siano anche i Ray-Ban Stories. Un lustro nel mondo della tecnologia è pari quasi a un’era geologica, i consumatori cambiano abitudini e opinioni con grande fluidità. Inoltre Facebook sa come stuzzicare l’attenzione dei suoi iscritti. I nuovi occhiali, infatti, si connettono alla nuova app Facebook View, in modo da condividere facilmente (e in tempo reale) il proprio punto di vista, le proprie storie e i propri ricordi con amici e follower. Per essere ancora più attrattiva, l'app Facebook View promette di semplificare l'importazione, la modifica e la condivisione dei contenuti catturati con gli smart glasses sulle app del proprio telefono: Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger, Twitter, Tik-tok, Snapchat e altre ancora. È anche possibile salvare i contenuti nella fotocamera del proprio telefono e da lì, modificarli e condividerli.

Ecco, forse perfino troppo. Nel mercato europeo, più che in quello americano, esiste una particolare attenzione alla privacy che questi occhiali sembrano in grado di compromettere. Facebook ha già messo le mani avanti spiegando che la questione della riservatezza è stata studiata e integrata fin dal lancio: “Per impostazione predefinita, i Ray Ban Stories raccolgono solo i dati necessari al funzionamento ottimale quali, ad esempio, lo stato della batteria per avvisare quando è scarica, l’indirizzo e-mail e la password per l’accesso a Facebook, così da verificare l’identità dell’utente nel momento in cui accede all’app Facebook View, e la connettività WiFi”. Come per altri prodotti, è possibile scegliere di condividere con Facebook ulteriori dati utili allo sviluppo del prodotto e al miglioramento dell’app Facebook View per i futuri aggiornamenti del software. Queste impostazioni possono essere modificate in qualsiasi momento, ma probabilmente non sono rassicurazioni sufficienti per il Garante della Privacy che - il giorno dopo il lancio - ha fatto sapere di aver già scritto all’autorità gemella della Repubblica di Irlanda per avere maggiori notizie: “In riferimento agli smart glasses dotati della funzionalità Facebook View, il Garante per la protezione dei dati personali ha chiesto all’Autorità Garante irlandese (DPC, Data Protection Commission, ndr) di sollecitare FB affinché risponda ad una serie di quesiti prima della commercializzazione degli occhiali sul mercato italiano”. L’Autorità italiana, infatti, si era già attivata nei giorni precedenti presso l’omologo irlandese ponendo una serie di questioni che integravano quelle già oggetto delle interlocuzioni avvenute tra la DPC e il social media. Il Garante italiano intende acquisire elementi ai fini di una valutazione della effettiva corrispondenza del dispositivo alle norme sulla privacy. Ancora una volta, la richiesta fatta a Facebook rimane la stessa: sapere come Zuckerberg tratta i dati personali e quali sono le misure messe in atto per tutelare le persone occasionalmente riprese, in particolare i minori. Chiudiamo con un dubbio ulteriore: sono da educare al rispetto della riservatezza più le società americane o i consumatori italiani? Una domanda a cui probabilmente nessuno, al momento, è capace di dare una risposta univoca e soddisfacente.

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