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Pornografia e tech

Pornhub senza veli

Un’oscura società ha il monopolio del porno online, macina miliardi, senza assumersi responsabilità

Giulia Pompili

Quello che Google è per le ricerche su internet e Facebook è per i social  (se restiamo naturalmente nelle categorie del mondo occidentale), nell’industria della pornografia si chiama MindGeek: un’oscura e fumosa società con sede in Lussemburgo che ha di fatto il monopolio del sesso online

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Se internet fosse un iceberg, la parte sopra alla superficie dell’acqua sarebbe fatta del nostro utilizzo quotidiano della rete; tutto il resto, la parte sott’acqua, sarebbe il porno. Che la pornografia online abbia rivoluzionato l’industria del sesso non è una novità: chiunque può filmare quel che vuole o che gli piace e metterlo online, ed è un po’ come quando abbiamo detto che Instagram ha cambiato il mondo della fotografia e Twitter quello del giornalismo. Ma mentre ci siamo interrogati a lungo su questi ultimi due – soprattutto sul ruolo dei social e delle piattaforme online nella diffusione di notizie o di messaggi sbagliati – e le istituzioni internazionali hanno cercato di responsabilizzare non solo gli utenti, ma anche e soprattutto i gestori delle piattaforme online, con il porno non è successo. Quello che Google è per le ricerche su internet e Facebook è per i social  (se restiamo naturalmente nelle categorie del mondo occidentale), nell’industria della pornografia si chiama MindGeek: un’oscura e fumosa società con sede in Lussemburgo che ha di fatto il monopolio del sesso online, perché possiede tutti i siti con più traffico al mondo, tra cui PornHub, YouPorn e RedTube. Di MindGeek si parla da anni, ma nessuno aveva mai nemmeno saputo il nome del milionario che la possiede: è “un uomo d’affari che si chiama Bernard Bergemar”. Il suo nome l’ha pubblicato per la prima volta il Financial Times la scorsa settimana, in un’inchiesta importante dove la giornalista Patricia Nilsson scrive che il “Mark Zuckerberg del porno” è praticamente un fantasma, anche online.

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Se internet fosse un iceberg, la parte sopra alla superficie dell’acqua sarebbe fatta del nostro utilizzo quotidiano della rete; tutto il resto, la parte sott’acqua, sarebbe il porno. Che la pornografia online abbia rivoluzionato l’industria del sesso non è una novità: chiunque può filmare quel che vuole o che gli piace e metterlo online, ed è un po’ come quando abbiamo detto che Instagram ha cambiato il mondo della fotografia e Twitter quello del giornalismo. Ma mentre ci siamo interrogati a lungo su questi ultimi due – soprattutto sul ruolo dei social e delle piattaforme online nella diffusione di notizie o di messaggi sbagliati – e le istituzioni internazionali hanno cercato di responsabilizzare non solo gli utenti, ma anche e soprattutto i gestori delle piattaforme online, con il porno non è successo. Quello che Google è per le ricerche su internet e Facebook è per i social  (se restiamo naturalmente nelle categorie del mondo occidentale), nell’industria della pornografia si chiama MindGeek: un’oscura e fumosa società con sede in Lussemburgo che ha di fatto il monopolio del sesso online, perché possiede tutti i siti con più traffico al mondo, tra cui PornHub, YouPorn e RedTube. Di MindGeek si parla da anni, ma nessuno aveva mai nemmeno saputo il nome del milionario che la possiede: è “un uomo d’affari che si chiama Bernard Bergemar”. Il suo nome l’ha pubblicato per la prima volta il Financial Times la scorsa settimana, in un’inchiesta importante dove la giornalista Patricia Nilsson scrive che il “Mark Zuckerberg del porno” è praticamente un fantasma, anche online.

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“Un tempo gestita da magnati vestiti di seta come Hugh Hefner”, scrive Nilsson, “oggi l’industria dei contenuti per adulti è guidata da un gruppo segreto di esperti in algoritmi, ottimizzazione nei motori di ricerca e pubblicità mirata”. Ogni giorno sui siti MindGeek vengono caricati 15 terabyte di video, che equivalgono a circa la metà dei contenuti disponibili su Netflix: un mare di roba, su cui l’azienda esercita pochissimo controllo. 

  
La riflessione di questi giorni, che ha portato anche all’inchiesta del quotidiano finanziario, nasce da un articolo di Nicholas Kristof, che sul New York Times il 4 dicembre scorso ha raccontato la storia dei “bambini di PornHub”. E’ un elenco di tutte le schifezze, ma anche dei numerosissimi reati sessuali, anche i più truci, che possono essere facilmente trovati sulla piattaforma del porno online. Non è una storia nuova, ma la scorsa settimana Mastercard e Visa, che gestiscono i circuiti di carte di credito più importanti, hanno deciso di interrompere i rapporti con MindGeek, e questo ha avuto un effetto devastante per l’industria. Solo dopo che i due metodi di pagamento più usati per avere contenuti extra sono stati bloccati, Pornhub ha deciso di bloccare il caricamento di video da account non verificati e ha eliminato la funzione per scaricare i video, ma non è bastato. La questione è importante perché riguarda prima di tutto la liceità o no di certi video: il confine tra industria del sesso e reati è molto sottile, e la responsabilità difficile da individuare. Da un lato ci sono gli estremisti conservatori che vorrebbero chiudere tutti i siti pornografici, dall’altra c’è la libertà di espressione sessuale, che si è evoluta enormemente negli ultimi decenni e il cui controllo è considerato un moralismo ipocrita da paese autoritario – non è un caso se il controllo della pornografia online è una delle ossessioni del presidente cinese Xi Jinping, che vuole restaurare la “moralità” nella Repubblica popolare cinese. 

  
E poi c’è la questione che riguarda, in generale, il nostro rapporto con la tecnologia e la pubblicazione di contenuti: chi ne è responsabile? Anche se in passato altre notizie che esponevano i siti come Pornhub e YouPorn alle loro responsabilità “non hanno avuto molta risonanza”, ha scritto sul Guardian John Naughton, docente universitario che si occupa di tecnologia, “l’articolo di Kristof l’ha avuta, e improvvisamente si è accesa l’attenzione nei confronti di Mindgeek”. Ma a portare l’azienda a fare un’azione specifica – cioè quella che chiedeva Kristof, la rimozione dei video di utenti non verificati e la possibilità di riprodurli continuamente – non è stato un ripensamento del modello di business, ma l’azione distruttiva di Visa e Mastercard: cioè  i soldi. 

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