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Internet e il fattore P

Eugenio Cau

P come politica. Che effetti ha avuto la rete, con Facebook e i social, nelle democrazie d’occidente? Dai troll russi a Trump, dalla “bestia” di Salvini alla piattaforma Rousseau. Guai solo per i dittatori

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Il mito dell’età dell’oro è facile da comprendere e da sfatare. L’idealizzazione di un’epoca passata, remota o vicina, è alla base di molte teorie politiche, di tutti i populismi e anche di qualche totalitarismo – ed è praticamente sempre sbagliata. Dai treni che arrivavano in orario quando c’era lui ai miti virili di antichi romani in toga bianca, chi spera di tornare al passato quasi sempre non l’ha capito, quel passato, e chi cerca di distruggere il presente probabilmente provocherà un danno a se stesso: questo è vero per gli ultimi 70 anni di storia, almeno in occidente. A volte il mito dell’età dell’oro funziona anche al contrario, in avanti. Alcune società proiettano sul futuro, o sullo sviluppo futuro di qualche fenomeno, speranze e utopie irrealizzabili, per poi rimanerne deluse: la nostra l’ha fatto con internet.

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Il mito dell’età dell’oro è facile da comprendere e da sfatare. L’idealizzazione di un’epoca passata, remota o vicina, è alla base di molte teorie politiche, di tutti i populismi e anche di qualche totalitarismo – ed è praticamente sempre sbagliata. Dai treni che arrivavano in orario quando c’era lui ai miti virili di antichi romani in toga bianca, chi spera di tornare al passato quasi sempre non l’ha capito, quel passato, e chi cerca di distruggere il presente probabilmente provocherà un danno a se stesso: questo è vero per gli ultimi 70 anni di storia, almeno in occidente. A volte il mito dell’età dell’oro funziona anche al contrario, in avanti. Alcune società proiettano sul futuro, o sullo sviluppo futuro di qualche fenomeno, speranze e utopie irrealizzabili, per poi rimanerne deluse: la nostra l’ha fatto con internet.

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Speravamo che internet avrebbe reso il mondo più democratico, e invece ci ha portato i troll russi; eravamo sicuri che internet avrebbe migliorato la politica, e invece ci ha dato Rousseau. Le elezioni americane di novembre non sono mai state così influenzate da internet e dai social network, e non in senso buono: si parla soltanto di disinformazione e di gruppi estremisti coltivati online, e si teme perfino che internet possa essere usato per rubare le elezioni, quando il conteggio del voto via posta arrancherà e Donald Trump userà la sua enorme piattaforma pubblica sui social network per dichiarare una vittoria prematura. Facebook, Twitter e gli altri si danno da fare: cancellano, censurano, ritoccano l’algoritmo, ma inutilmente. Internet, nel suo epifenomeno massimo, cioè i social, è diventato un elemento di disturbo del processo elettorale. Le cose sono più complicate di così, e tendenzialmente molto migliori: internet ha reso possibili enormi avanzamenti e ha aperto interi nuovi settori dell’economia, e in generale chi si lamenta di internet dovrebbe provare a stare senza per una settimana. Ma ecco, una delle ragioni per cui i miti dell’età dell’oro rivolti verso il passato e le utopie rivolte verso il futuro non funzionano quasi mai è perché cercano invano di rendere semplici fenomeni complessi.

  

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E’ anche una delle ragioni per cui attorno a internet ci sono moltissime opinioni e pochissimi fatti: è un fenomeno enorme, complesso, che riguarda miliardi di persone, ciascuna con un’esperienza differente. Fare un ragionamento a proposito di internet che sia basato su fatti concreti è davvero difficile. Internet ci ha dato le primavere arabe ma anche le proteste per la democrazia in Bielorussia. Facebook, che di internet è uno dei fenomeni più importanti, è accusato di aver facilitato con il suo algoritmo l’ascesa di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, ma probabilmente se qualcuno non avesse messo proprio su Facebook il video originale dell’uccisione di George Floyd non avremmo assistito alle enormi proteste di Black Lives Matter. E ricordiamoci che queste sono tutte supposizioni: internet dovrebbe essere oggetto di uno studio più scientifico di così.

 

L’Economist qualche giorno fa ha proposto un paper che cerca di fare esattamente questo: applicare criteri di studio il più rigorosi possibile all’indagine degli effetti che internet ha sulla politica. Si intitola “3G internet and confidence in government”. E’ stato scritto nel 2019, ma è sottoposto soltanto adesso al processo di “peer review”: significa che non ha ancora la santificazione massima degli studi accademici rivisti dai pari, ma ormai manca poco – e poi del giudizio dell’Economist tendiamo a fidarci. Come tutti gli studi di questo genere, i tre economisti che l’hanno scritto (Sergei Guriev, Nikita Melnikov ed Ekaterina Zhuravskaya, rispettivamente di Sciences Po, di Princeton e della Paris School of Economics) hanno dovuto ridurre il campo di indagine e cercare di porsi le domande giuste. Quella dei tre ricercatori è stata: che effetto ha avuto la diffusione di internet sui partiti politici al governo? E’ una domanda che sembra settoriale ma che in realtà consente di capire molte cose. Anzitutto perché riguarda delle entità misurabili: la diffusione di internet nel mondo ha una cronologia e un ritmo abbastanza ben definiti – anche se analizzarla con un certo dettaglio è un lavoraccio, che nello studio richiede pagine e pagine; anche la popolarità dei partiti di governo è relativamente facile da analizzare. In secondo luogo, capire che effetto fa internet ai governi significa, di riflesso, capire che effetto fa internet alle opposizioni, e dunque a tutto un sistema politico. Infine, i partiti politici di governo non sono soltanto quelli delle democrazie, e questo può aiutare a paragonare l’effetto di internet sulla politica in occidente con l’effetto di internet sulla politica in regioni del mondo non democratiche.

 

Gli studiosi hanno deciso di concentrarsi sulla diffusione delle reti 3G, cioè di internet sul telefono. E’ una buona scelta, perché nella stragrande maggioranza dei paesi meno sviluppati internet è arrivato con gli smartphone, e la fase dei computer e dei vecchi modem è stata saltata (questo vale anche per grosse fette della popolazione in occidente, che hanno cominciato a usare internet soltanto quando è arrivato Facebook sul telefonino). Oggi hanno accesso a internet 4,1 miliardi di persone, e di queste la stragrande maggioranza usa internet sul telefono. Nel 2017, si legge nello studio, il 93 per cento degli utenti dei social network li usava (non in maniera esclusiva) dal telefono. Il 70 per cento dei video su YouTube è guardato dal telefono o da un tablet, e l’80 per cento degli utenti di Twitter vi accede dal telefono. Tutto questo è avvenuto di recente: con poche eccezioni (la Germania, il Regno Unito, la Svezia, dove tutto è successo con qualche anno di anticipo) la diffusione della copertura 3G è avvenuta tra il 2007 e il 2018 e, dicono gli studiosi, è coincisa con un calo “sostanziale” della fiducia dei cittadini nei loro leader.

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L’ultima questione importante è capire se il rapporto tra la diffusione di internet e la fiducia in un governo è causale, cioè se davvero internet diminuisce la fiducia o se invece siamo davanti a una semplice correlazione, e la fiducia nei governi in questi anni è calata per altre ragioni. E’ un giudizio difficile da dare, ma i tre economisti lo fanno in maniera piuttosto credibile, dedicando pagine e pagine per capire, per esempio, se la diffusione del 3G può essere considerata o meno un processo “esogeno”, cioè non influenzato dal sistema. Fanno anche dei test placebo, cioè cercano di capire se la diffusione delle reti 3G può avere generato altre correlazioni, e tendenzialmente la risposta è no: per esempio, la diffusione del 3G non ha fatto cambiare né in meglio né in peggio la soddisfazione delle persone nel proprio tenore vita, né l’opinione che i cittadini hanno in un’altra istituzione come le forze dell’ordine. Ma la fiducia nella politica, quella è cambiata in maniera notevole.

 

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Per misurare la fiducia nei governi, i ricercatori hanno usato un enorme database di sondaggi Gallup, fatti a 840 mila persone divise per 2.232 regioni in 116 paesi, e ripetuti tra il 2008 e il 2017. Nel confrontare questi numeri con quelli dell’espansione della rete 3G, i ricercatori si sono accorti che, in media, quando in un paese arriva internet la gente comincia a fidarsi meno di chi la governa. Secondo i dati estratti dall’Economist, dopo l’arrivo del 3G la fiducia nel governo cala di oltre il 6 per cento. La fiducia nel sistema giudiziario cala del 4 per cento. Aumenta la percezione di corruzione. E la convinzione che le elezioni siano oneste cala dell’8 per cento. Tutti questi risultati peggiorano nelle zone rurali, peggiorano tra la fasce più povere e meno istruite della popolazione, ma migliorano tra i giovani (ok, boomer).

 

I ricercatori analizzano anche come sono cambiati i risultati elettorali con l’arrivo di internet, e questa è probabilmente una delle parti più interessanti, perché anziché occuparsi del mondo intero si concentrano sull’Europa. Tenendo conto di 102 elezioni parlamentari tra il 2007 e il 2018 in 33 stati europei, in media, con l’arrivo delle reti 3G, la percentuale di voto dei partiti al governo (cioè del partito del primo ministro o del presidente) è calata del 4,7 per cento – abbastanza per perdere un’elezione. Qui c’è uno degli elementi più interessanti e preoccupanti dello studio: il calo dei consensi dei partiti di governo non è coinciso con l’ascesa di tutti i partiti di opposizione, ma soltanto di quelli populisti: sono loro, almeno in Europa, a guadagnarci dalla diffusione di internet, e gli studiosi lo scrivono chiaramente: “Non abbiamo trovato nessun effetto significativo del 3G sulla percentuale di voto dell’opposizione non populista”. I populisti di destra ci guadagnano un po’ di più (4,6 punti percentuali); i populisti di sinistra un po’ di meno (3,6 punti). Qui però i ricercatori si fermano. Non dicono se questa potrebbe essere una coincidenza o qualcosa di più – le cause del populismo, lo sappiamo, sono tantissime. Ma vivere nel paese che ha dato i natali al Movimento 5 stelle qualche dubbio ce lo fa venire.

 

Un altro elemento preoccupante dello studio è che la riduzione della fiducia nei governi non si verifica quando internet è censurato. E’ il modello cinese (anche se in tutto lo studio la Cina è citata soltanto due volte). Rendere internet inaccessibile dall’esterno e chiudere i propri utenti in un bozzolo di propaganda, dove il governo è benevolo ed efficiente e il resto del mondo è un nemico o un avversario, funziona.

 

E fin qui sembra che davvero internet faccia male alla democrazia: quando arriva, cala la fiducia nei governi, i populisti fanno festa e te la cavi solo se censuri tutto e ti trasformi nel Partito comunista. In realtà le buone notizie ci sono, e sono importanti. La prima è che nei paesi in cui il livello di corruzione è basso o inesistente, come la Svizzera e la Danimarca, l’effetto negativo di internet non c’è, anzi: la fiducia dei cittadini aumenta. La seconda, forse la più notevole, è che nei paesi in cui la stampa è libera e forte l’effetto si affievolisce di molto. Questo significa che la diffusione di internet tra la popolazione non è negativa per sé: l’effetto si produce “se non ci sono altre fonti di informazione politica indipendente”. Internet, in questo senso, è un amplificatore: quando c’è corruzione nel governo e quando la stampa non è libera, aumenta la percezione che qualcosa non vada. Ma questo ci consente anche di trovare soluzioni al problema: trasparenza e pluralismo sono un antidoto agli effetti negativi di internet.

 

La terza buona notizia l’abbiamo già accennata. Nessun’altra dittatura può permettersi il gigantesco apparato censorio della Cina. Ci stanno provando un po’ tutte, ma nessuna, per ora, sta riuscendo davvero a costruirne uno anche lontanamente simile. E se internet è un amplificatore delle cose che non vanno nelle democrazie, è facile provare che nelle dittature l’amplificazione di ciò che non vanno sarà massima. I troll russi e i tweet di Donald Trump e la bestia salviniana ci hanno un po’ disilluso sul fatto che internet sia davvero uno strumento di liberazione e un portatore di democrazia. Non lo è, non lo è mai stato, e anzi: spesso internet ha aiutato i populismi e le dittature. Ma c’è ancora chi internet lo sa usare bene, e basta guardare le proteste in Bielorussia – dove il canale Telegram che coordina i manifestanti ha 2 milioni di iscritti su una popolazione totale di poco più di 9 milioni – per tornare a ricordarci che internet la sa ancora fare quella cosa che ci aveva fatto tanto entusiasmare dieci anni fa: aiutarci ad abbattere i dittatori, o almeno a provarci.

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