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Lo sciopero a Facebook

Centinaia di dipendenti protestano contro i post violenti di Trump e criticano Zuckerberg su Twitter

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Milano. “L’inazione di Facebook nell’eliminare i post di Trump che incitano alla violenza mi fa vergognare di lavorare qui”, ha scritto Lauren Tan, informatica che lavora a Facebook. “Mark si sbaglia, e farò di tutto per fargli cambiare idea”, ha scritto Ryan Freitas, un dirigente dell’azienda. “Sono un impiegato di Facebook e sono completamente in disaccordo con la decisione di Mark di non fare niente con gli ultimi post di Trump”, ha scritto Jason Stirman. Tra lunedì e martedì, mentre infuriava la polemica sul fatto che Facebook, al contrario di Twitter, ha deciso di non mettere nessun tipo di limitazione ai post violenti del presidente americano, moltissimi dipendenti di Facebook hanno cominciato per la prima volta a criticare pubblicamente la loro azienda e a farlo – colpo di genio – su Twitter. Centinaia di loro, inoltre, hanno inscenato uno sciopero digitale: poiché sono tutti in smartworking, si sono resi indisponibili nei sistemi interni dell’azienda.

 

Da quando Twitter ha mostrato il buon esempio, la decisione di Mark Zuckerberg di non stuzzicare Trump è più contestata che mai. Il ceo di Facebook ha dato una serie di motivazioni arzigogolate per cui il post in cui Trump invoca sparatorie della guardia civile sui manifestanti (lo stesso limitato da Twitter) non deve essere toccato: secondo il ceo, il presidente non invoca una violenza generica ma la “forza dello stato”, e allora tutto va bene. Ma davanti alle proteste e ai disordini il legalese di Zuckerberg non è sufficiente, e questo porta a una crisi grande dentro a Facebook.

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