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Le tecnologie anti coronavirus in ritardo

Eugenio Cau

Nella task force per creare una app contro il virus troppi politici grillini e pochi esperti

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Milano. Ieri il ministero dell’Innovazione ha finalmente pubblicato l’elenco dei 74 esperti che compongono la task force del governo che dovrà giudicare le migliori tecnologie da mettere in campo per combattere il coronavirus. L’annuncio della formazione di un “Gruppo data-driven” era stato dato dalla ministra dell’Innovazione Paola Pisano lo scorso 27 marzo, ma per giorni la composizione della task force era rimasta segreta al pubblico e ai media, così come i criteri seguiti dal ministero per comporla. Ieri infine, dopo molte polemiche e lunga attesa, l’elenco sorprendentemente lungo dei nomi è stato pubblicato. Ancora non abbiamo idea di quale criterio la ministra Pisano abbia utilizzato per comporre la lista, ma a scorrerla si trovano, accanto a molti professionisti rispettati e seri, quasi altrettanti nomi che non sembrano precisamente “data-driven”.
 
La task force ha il compito di giudicare gli oltre ottocento progetti giunti al ministero dell’Innovazione da aziende e università per usare la tecnologia nella lotta al coronavirus. Sono arrivate al ministero ben 504 proposte di tecnologie di telemedicina, per aiutare a distanza i pazienti malati, e 319 proposte per sistemi di contact tracing, cioè di app e software che possano rintracciare i contagiati e consentire un contenimento del Covid-19.
 
Nella lista, che è divisa in otto sottogruppi, c’è una notevole mancanza di epidemiologi e virologi (si possono contare sulle dita di una mano), che forse è giustificabile con il fatto che la task force ha un mandato prettamente tecnico. Meno giustificabile è la totale assenza di esperti di cybersicurezza: alcune delle app di contact tracing che sono state rese pubbliche finora su iniziativa delle regioni (e che dovrebbero essere sostituite a livello nazionale dalla app scelta dalla task force) erano così piene di malware e di vulnerabilità da costituire un pericolo per chi le scaricava. Il fatto che nessuno se ne occupi in una commissione da 74 membri è grave.
 
Ma più che le assenze a destare l’attenzione sono le presenze: accanto a esperti stimabili sono state fatte (da chi? secondo quali criteri?) nomine ad alta carica ideologica di funzionari ministeriali, esperti giuridici ed economisti molto vicini alle posizioni del partito della ministra Pisano, il Movimento 5 Stelle. Il gruppo che deve valutare l’impatto economico delle tecnologie per contrastare il virus è dominato da figure molto legate ai 5 stelle, tra cui spiccano gli economisti Giovanni Dosi e Andrea Roventini, che Luigi Di Maio aveva indicato come fantaministro dell’Economia, oltre che Massimiliano Gambardella, storico collaboratore di Laura Castelli. Nel gruppo di esperti giuridici si notano consiglieri fedeli alla stessa ministra Pisano e i loro sodali. Altre nomine simili, che sembrano legate più all’appartenenza politica che alla competenza, sono diffuse in tutta la lista dei 74 nomi. Dubbi sui metodi di selezione della task force sono emersi anche nella stessa maggioranza, con settori del Pd che vorrebbero chiederne conto alla ministra Pisano e che invocano una condivisione dei dati sulla scelta delle tecnologie.
 
Ora, bisogna fare auguri sinceri alla task force, soprattutto alle diverse figure competenti e indipendenti al suo interno, perché nella tecnologia, e in particolare nelle app di contact tracing, sono riposte speranze enormi in questa lotta contro il virus. Il contact tracing è una delle armi fondamentali citate dall’Organizzazione mondiale della sanità per combattere l’epidemia, e molti paesi asiatici ne hanno applicata una versione altamente tecnologica che ha contribuito ad abbattere la curva e che soprattutto potrebbe aiutare l’Italia a governare il post quarantena. Avere dati puntuali sull’evoluzione delle catene di contagio e sapere per tempo dove e quando rischiano di formarsi nuovi focolai significa proteggere i cittadini e prendere decisioni informate su cosa riaprire e cosa tenere chiuso, dove inasprire le misure di distanziamento sociale e dove rilassarle.
 
Ci sono ottime ragioni per essere scettici nei confronti delle tecnologie di contact tracing. Rischiano di sfociare in sistemi di sorveglianza, con conseguenti violazioni dei diritti fondamentali. Inoltre bisogna ricordare che una app da sola non basta: il contact tracing è “labor intensive” anche nei paesi hi-tech dell’Asia, che hanno messo in campo squadre di investigatori per rintracciare e isolare i malati uno per uno (e queste squadre al momento in Italia non esistono).
 
Ma se tutto il mondo deve affrontare questi problemi, e si interroga e dibatte su privacy ed efficacia dei vari sistemi, in Italia dobbiamo affrontare un ostacolo ulteriore. Nella lotta al virus dovremmo essere in anticipo su tutto il resto dell’occidente: siamo stati colpiti per primi e con più violenza, abbiamo visto gli effetti devastanti del Covid-19, e il nostro caso ha mostrato al mondo che la tragedia non era soltanto cinese. Ma se siamo in anticipo nella lotta, nelle tecnologie per governare il dopo siamo già in ritardo. Molti paesi meno colpiti di noi hanno già preso le loro decisioni (più o meno informate, più o meno giuste) e sviluppato le loro tecnologie. Alcuni le hanno perfino già diffuse al pubblico, e hanno cominciato a cercare di capire come usarle quando la quarantena sarà finita. Qui invece siamo molto impegnati a riempire di alleati le task force ministeriali.
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