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L’antivirus occidentale

Eugenio Cau

Dopo l’Asia, anche in occidente (e in Italia) nascono app e tecnologie per tracciare i contagi. Una mappa

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Milano. Dopo la ricerca sui vaccini e la sperimentazione di nuove cure, la tecnologia di cui tutti parlano con più aspettative in questa stagione di emergenza da coronavirus riguarda il contact tracing. L’idea è che usando diversi sistemi tecnologici sia possibile tracciare – e quindi contenere – il diffondersi dell’epidemia da persona a persona, da comunità a comunità. Per fare contact tracing con la tecnologia (finora si è fatto a voce, con le interviste di persona) servono delle app per smartphone e altri sistemi di raccolta dati che controllino i movimenti degli individui (gli infetti ma non solo) in forma per quanto possibile anonima, e poi servono sistemi di analisi di questi dati, in modo che tutte le volte che qualcuno si ammala sia possibile ricostruire i suoi spostamenti, rintracciare la catena dei contatti, rendere più efficaci le quarantene e più mirati i tamponi, e poi, quando la quarantena sarà finita, tenere sotto controllo i nuovi focolai. Non ci sono ricerche conclusive a riguardo, ma sulla base dei primi studi si può dire che le tecnologie di contact tracing siano state, assieme a molti altri, uno dei fattori che hanno consentito ad alcuni paesi asiatici di abbattere la curva dei contagi, con diverse gradazioni di compressione dei diritti fondamentali a seconda che si guardi alla Cina, a Singapore o a Taiwan – sì, compressione dei diritti, perché in fondo il contact tracing è questo: un sistema di sorveglianza di massa. Anche in occidente abbiamo cominciato a pensarci.

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Milano. Dopo la ricerca sui vaccini e la sperimentazione di nuove cure, la tecnologia di cui tutti parlano con più aspettative in questa stagione di emergenza da coronavirus riguarda il contact tracing. L’idea è che usando diversi sistemi tecnologici sia possibile tracciare – e quindi contenere – il diffondersi dell’epidemia da persona a persona, da comunità a comunità. Per fare contact tracing con la tecnologia (finora si è fatto a voce, con le interviste di persona) servono delle app per smartphone e altri sistemi di raccolta dati che controllino i movimenti degli individui (gli infetti ma non solo) in forma per quanto possibile anonima, e poi servono sistemi di analisi di questi dati, in modo che tutte le volte che qualcuno si ammala sia possibile ricostruire i suoi spostamenti, rintracciare la catena dei contatti, rendere più efficaci le quarantene e più mirati i tamponi, e poi, quando la quarantena sarà finita, tenere sotto controllo i nuovi focolai. Non ci sono ricerche conclusive a riguardo, ma sulla base dei primi studi si può dire che le tecnologie di contact tracing siano state, assieme a molti altri, uno dei fattori che hanno consentito ad alcuni paesi asiatici di abbattere la curva dei contagi, con diverse gradazioni di compressione dei diritti fondamentali a seconda che si guardi alla Cina, a Singapore o a Taiwan – sì, compressione dei diritti, perché in fondo il contact tracing è questo: un sistema di sorveglianza di massa. Anche in occidente abbiamo cominciato a pensarci.

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In Italia ci sono numerosi progetti privati in fase di sviluppo, ma nessuno per ora ha ottenuto l’approvazione ufficiale del governo. Anche nel resto del mondo occidentale siamo ancora a una fase esplorativa, ma alcune caratteristiche cominciano a delinearsi. Negli Stati Uniti l’Amministrazione Trump cerca di fare buon uso dei suoi giganti tecnologici locali. 

 

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Secondo il Washington Post e il Wall Street Journal, la Casa Bianca ha creato una task force a cui partecipano Facebook, Google e Microsoft per esplorare la creazione di sistemi di tracciamento con dati anonimi e aggregati e di app di telemedicina. Big Tech ha tutti i dati che servono per creare strumenti di tracciamento precisissimi, ma non si sa con esattezza se verranno usati e in che modo. Mark Zuckerberg, ceo di Facebook, ha detto tre giorni fa che finora nessun governo ha fatto richiesta di dati al social network per combattere il coronavirus, e che comunque lui non li concederebbe senza il permesso degli utenti (come invece è successo in molteplici occasioni passate).

 

Nel Regno Unito, i ricercatori dell’Università di Oxford lavorano assieme al governo per sviluppare una app che sarà distribuita ufficialmente dal sistema sanitario britannico e che potrebbe usare dati da una quantità di fonti (geolocalizzazione degli smartphone, connessioni bluetooth, celle dei telefoni) per monitorare gli spostamenti dei cittadini che la scaricheranno liberamente. Matthew Gould, capo della branca tecnologica della sanità britannica, ha detto che lo sviluppo sta avvenendo “il più rapidamente possibile”. Sky Uk ha riportato inoltre che il governo di Londra collabora con la compagnia telefonica O2 per costruire modelli degli spostamenti dei cittadini usando i dati delle celle, esattamente come ha cominciato a fare da qualche giorno la regione Lombardia.

 

In Spagna, il ministero della Sanità ha comunicato ai media che lavora a una app di contact tracing in collaborazione con diverse aziende (tra cui Google, la compagnia di telecomunicazioni Telefónica e la società di servizi urbani Ferrovial). Per ora il sistema è stato attivato a Madrid, uno degli epicentri dell’epidemia, sotto forma di sito internet, ma presto sarà disponibile in versione adatta agli smartphone in tutto il paese. La app spagnola per ora ha come primo compito quello di guidare chi ha sintomi all’autovalutazione della propria condizione medica, per evitare di intasare linee telefoniche d’emergenza e ospedali. Ma presto diventerà attivabile un’opzione di controllo della localizzazione dei cittadini.

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Mentre in Francia la discussione sul contact tracing è ancora agli albori, in Germania pochi giorni fa la compagnia telefonica Deutsche Telekom ha annunciato di aver passato al governo i dati anonimizzati sulle celle dei telefoni tedeschi, per creare modelli sulla possibile diffusione del contagio. Lo stesso ha fatto in Austria la compagnia telefonica A1.

 

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Con poche eccezioni, dopo l’Asia anche l’Europa e l’America si muovono verso il contact tracing tecnologico, nonostante i dubbi sulle violazioni dei diritti. L’Italia mantiene il passo, ma a giudicare dagli esempi dei nostri vicini per ora manca di un approccio coordinato: mentre altrove l’iniziativa è del governo, da noi è tutta in mano ai privati.

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