La riservatezza non è un’idea immutabile
Tuttavia se pensiamo alla privacy come il “diritto di essere lasciati soli”, in un mondo in cui esser soli per scelta è sempre più difficile, ci troviamo di fronte a un diritto che non solo va tutelato con tutta la forza di cui siamo capaci, ma rispetto al quale sarebbe pericolosissimo abdicare. E non solo per questioni etiche o di principio, ma anche – nel caso della disputa tra Fbi e Apple – per mere ragioni di convenienza. Che succederebbe se esistesse uno strumento in grado di leggere qualsiasi contenuto riservato presente in un device? E che succederebbe se questo strumento finisse nelle sbagliate? O, ancora peggio, chi determina quali siano le mani sbagliate? Quale sarebbe il danno – in termini di sicurezza – se ad essere aperti non fossero i cellulari “dei cattivi”, ammesso che sia sempre possibile stabilire chi sia il cattivo? Insomma: per “aprire” i contenuti di un singolo device è necessario disporre di uno strumento in grado di aprirli in qualsiasi device. E avere questo strumento, oltre a rappresentare una sconfitta in termini ideali, è un rischio che non possiamo permetterci.
Stefano Epifani è professore di Social media management all’Università La Sapienza di Roma