Luka Doncic (foto Ap, via LaPresse)

a canestro

La normale anormalità di Luka Doncic

Giovanni Battistuzzi

C’è nulla di consueto nel campione sloveno eppure a vederlo fuori da un'arena sembra tutt'altro che speciale. Con i Dallas Mavericks si giocherà l'Anello dell'Nba

Tra tanti tronchi di pino, lui al massimo può ambire a essere un tronco di pino mugo: tozzo, per nulla slanciato, buono al massimo per un liquore fresco, aromatico, pungente, buonissimo. 

Tra tanti tronchi di pino che si elevano altissimi sul parquet delle più belle arene della pallacanestro mondiale, Luka Doncic non svetta. Poco male. Si fa apprezzare per altro, ossia per tutto il resto, soprattutto per quella naturalezza nel muoversi, nel passare, nel tirare, quasi il pallone, il campo da basket, i compagni fossero nient’altro che un’estensione naturale del suo corpo. 

Non fosse per quei 201 centimetri di altezza, Luka Doncic potrebbe sembrare uno di noi, uno di quelli che la pallacanestro la vedono in tivù o la provano a giocare, assai male, in quelli che chiamavamo campetti, da un po’ diventati, per i più, playground. Uno con un filo di doppio mento, la faccia tonda e sanamente rubiconda da osteria e un fisico da normodotato senza troppe ansie da bilancia. Luka Doncic ci sembra uno che potremmo definire, almeno a prima vista, normale, uno dei tanti. Uno talmente normale che è capace di trasformarsi in ultra anormale quando ha una palla a spicchi in mano. Perché c’è nulla di consueto in Luka Doncic: vede compagni che altri non vedono, fa movimenti che altri non fanno, tira a canestro come e quando altri non tirano, percepisce spazi nei quali inserirsi che altri non solo vedono, nemmeno immaginano. E tutto questo senza essere né il più forte, né il più elegante, né il più potente dell’Nba. E’ semplice altro, è l’altrove magnifico e sognante di Emilio Salgari, un luogo che non esiste, non è mai esistito, ma che vive ed esiste comunque ed è più reale del reale. 

Luka Doncic è sloveno, figlio di una pallacanestro al tempo stesso umorale e scientifica, fatta di illuminazione e abnegazione, di inseguimento anarchico e passionale di una perfezione irraggiungibile, ma proprio per questo auspicabile. Individualismo e comunitarismo vanno a braccetto, sono uno funzionale all’altro. Luka Doncic questa regola l’ha introiettata, l’ha fatta tratto essenziale del suo gioco. Nei playoff di questa Nba è primo nella classifica dei punti e degli assist a partita, segna e fa segnare. Va così da quando è nel campionato di basket più importante al mondo, dal 2018. E anche da prima. Ha sempre giocato allo stesso modo.

Una volta, era il 2022, ha trascinato praticamente da solo i Dallas Mavericks alla finale di Conference. Ha, hanno, perso male, malissimo, contro i Golden State Warriors. 

Quello che gli era sino a ora mancato era avere accanto uno capace di parlare con lui la stessa lingua baskettara, uno con cui fare bisboccia cestistica. Uno come Kyrie Irving insomma (“Lo chiamavo 'il mago' perché non c’è niente che non sappia fare su un campo da basket. Sono felice e orgoglioso nel seguire la sua crescita, ma allo stesso tempo sono fottutamente arrabbiato di non essere più suo compagno di squadra”, ha detto di lui LeBron James). Luka Doncic venerdì notte si giocherà per la prima volta l’Anello. Non sarà probabilmente l’ultima. A 25 anni si ha ancora una carriera davanti.

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