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calcioscommesse?

Il decreto dignità (tà-tà) contro gli sponsor di scommesse, danno populista

Maurizio Crippa

Regole del calcio e stato etico. A complicare il rapporto tra il mondo del pallone e il betting è stato il governo più populista della storia, quello gialloverde che nel 2018. Il compromesso inglese

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In un paese in cui invitano Zaki ai festival, non si comprende l’indignazione se Fabrizio-Linda Lovelace-Corona va in tv, pagato, per fare spettacolo scadente sulle ludopatie dei calciatori. E del resto persino gli inquirenti si sentono in dovere verificare le sue panzane (ieri “la fonte” che aveva nominato il romanista Zalewski ha smentito sé stessa e l’ex calciatore Santon ha dichiarato: “Mio zio non è l’informatore di Corona. Ha un allevamento di vongole”. Anni fa il sociologo Marco Dotti, grande esperto e arcinemico dell’azzardo, descriveva così il tema nel saggio Ludocrazia: “Finanziarizzazione estrema dell’esistenza, vite a debito continuo, estrema incertezza e percezione del pericolo, gamification integrale, adolescenti e anziani abbandonati al loro destino”. Se si vuole prendere sul serio il problema, non si dia, almeno, la colpa a Corona. Ma come sempre in Italia sono i ripulitori di mitili ignoti a produrre i peggiori guazzetti.

CR7 al Real giocava con il logo di Bwin, e lo ritrovò in Italia su Milan e Juve. Fino al 2018 le sponsorizzazioni legate alle scommesse valevano 200 milioni nel calcio italiano, e in Premier League 8 club su 20 li hanno per sponsor di maglia. Dunque è un pezzo della realtà, pensare di cancellarlo in quanto gamification è un po’ difficile. Ovvio, far rispettare il regolamento Figc è doveroso: ma Fagioli ha patteggiato 7 mesi più 5 con l’obbligo di “andare a parlare nelle scuole calcio” (e questa è vera crudeltà mentale), significa che il “minimo tre anni”, laddove non ci sia frode, è una forzatura da leggi emergenziali. A complicare dannatamente il rapporto tra calcio e betting è stato il governo più populista della storia, quello gialloverde che nel 2018 inserì nel decreto Dignità (tà-tà), art. 9, il divieto di “qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro nonché al gioco d’azzardo, comunque effettuata e su qualunque mezzo”, nelle manifestazioni sportive. Togliendo la fonte di entrate pure alle squadre dilettantistiche. Cosa c’entri con la dignità “dei lavoratori e delle imprese”,  è impossibile capire. Ma venne spiegato che “la ratio del divieto è da individuarsi nel contrasto alla ludopatia, con particolare riferimento alle categorie vulnerabili”. Fa un po’ stato etico, del resto siamo nel paese che inneggia a Hamas. 

Eppure da molto tempo si protesta (ieri un articolo con toni savonaroliani persino su Avvenire) perché le società di betting (e di calcio) avrebbero trovato subdoli sistemi per aggirare il sacro Spirito delle Leggi. I casino online legali (che hanno ottenuto l’autorizzazione dei Monopoli e la certificazione dell’Agenzia delle dogane: ci risiamo con lo stato biscazziere) hanno aperto siti e app di “news sportive”, che, nei fatti, indirizzano alle scommesse. E le loro pubblicità, da Bwin.tv a StarCasinò Sport a PokerstarsNews.it sono regolarmente visibili a bordo campo. Tanto che il ministro dello Sport Andrea Abodi aveva annunciato una possibile liberalizzazione-razionalizzazione, senza tornare al vecchio regime, ma è stato costretto a prudenti rinvii. Cosicché, oltre la pubblicità a bordo campo, resiste anche l’esca dei siti non certificati. I proibizionisti citano a sostegno il recente accordo di autoregolamentazione della Premier League (che però decollerà nel 2026-27, con calma) in base al quale i club, che dal betting guadagnavano moltissimo, vi rinunceranno. Più che altro, perché con l’aria che tira in Inghilterra – una importante inchiesta ha rilevato che il 90 per cento degli inglesi ritiene che la pubblicità del gioco d’azzardo nel calcio dovrebbe essere meglio controllata, i club temevano norme più dure. Invece l’accordo permette che i gambling sponsor rimangano sulle maniche della maglia e sui cartelloni negli stadi. The Big Step, la campagna inglese dedicata all’abolizione delle scommesse sportive, ha commentato: “Cioè è completamente incoerente”. Forse anche in Italia una regolamentazione meno manichea – Abodi vorrebbe che una parte degli introiti del betting ritorni alle casse dello stato per politiche contro la dipendenza – funzionerebbe meglio. Garantirebbe anche dalle sentenze esemplari che additano la ludopatia come un reato e i calciatori come criminali. A partire da Fagioli: “Non può certo lamentarsi considerato che il minimo edittale per chi vìola il divieto di scommesse è di 3 anni di squalifica. Così potrà diventare un esempio”. Sembra la predica del venerdì di un mullah iraniano, invece è solo un cronista di Repubblica.

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