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Il Foglio sportivo

La storia d’amore di Adriano Galliani

Umberto Zapelloni

La passione è sempre stata il motore che ha spinto il dirigente calcistico, ora al Monza, oltre ogni limite. “Tra tanta grandezza nei miei 25 anni nessuno come Van Basten"

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Più che un libro di memorie è una lunga storia d’amore. Quella raccontata da Adriano Galliani con la complicità di un vecchio avversario diventato un amico come Luigi Garlando nelle Memorie di Adriano G. (Piemme, 195 pagine) è una grande storia d’amore tra un bambino di Monza pazzo per il calcio e una squadra (che non era la sua) che per 25 anni è diventata la sua vita e oggi occupa il suo cuore e i suoi ricordi. “Allora le scuole finivano il 31 maggio e cominciavano il 1° ottobre – scrive –  Nel mezzo si spalancava una beata, piccola eternità, che potevo consacrare alla mia passione dominante: lo sport. Li adoravo tutti, anche se mi sono reso conto quasi subito che non ero tagliato per praticarli. A calcio giocavo in attacco, male; me la cavavo a tennis; davo il meglio nelle discipline che richiedevano resistenza e gambe forti, come il ciclismo. Ma il fatto che il mio amore sconsiderato per lo sport non fosse corrisposto non intaccava di un’unghia la mia passione. Anzi, mi spingeva a commettere una follia dietro l’altra, come poi avrei fatto da dirigente sportivo”.

La passione è sempre stata il motore che ha spinto Galliani oltre ogni limite. Mai si sarebbe immaginato di vincere cinque Coppe dei Campioni e di festeggiarle a braccetto con un suo mito da bambino come Alfredo Di Stefano. Lo chiamano il condor, lo squalo. Lo temono, lo rispettano e, come racconta nel libro, qualche dirigente come Antonio Giraudo è andato a lezione da lui per imparare a muoversi nel calcio. “I top manager di Fininvest, e in particolare Fedele Confalonieri, mi hanno sempre riconosciuto una qualità, quella di captare quando il presidente dice “sì” e pensa “sì”, quando dice “no” e pensa “no”, quando dice “sì” e pensa “no”, quando dice “no” e pensa “sì”. Se capisci queste quattro cose, ti assicuri una vita lunghissima accanto a Berlusconi. La mia, infatti, dura da quarantaquattro anni”. Ha saputo interpretare i no che non erano no per completare operazioni di mercato ad altissimo costo come Rui Costa o Nesta, ma ad altissima resa. Anche se nei suoi ricordi, il giorno del Condor che gli procura più goduria è quello in cui “ho preso Inzaghi dalla Juve e Pirlo dall’Inter nel giro di un’ora: è stato senza dubbio il colpo di cui sono più orgoglioso”.

Ha provato a mettere in fila la top 11 del suo Milan, ma alla fine ha riempito troppe formazioni. Troppe stelle per 11 maglie. Ma una sola grande stella sopra tutti gli altri: “In tanta grandezza, il più grande di tutti è stato Marco Van Basten. Per tutta la bellezza che ci ha regalato, ma anche per quell’addio a soli ventotto anni, dopo la rovesciata al Goeteborg, che ha dato al suo ricordo un fascino alla James Dean. Gli eroi devono morire giovani, così dicevano i Greci. Rita Hayworth era più brava e più bella di Marilyn Monroe, ma l’abbiamo vista invecchiare. Marilyn invece resterà giovane in eterno, come Van Basten”. Un po’ come Adriano G ringiovanito dalla nuova avventura al Monza. Il primo amore, quello trasmessogli dalla mamma.

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