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Il Foglio sportivo

Maggio è il più veloce dei mesi. Il tempo del Giro d'Italia

Giovanni Battistuzzi

Una maglia rosa per due litiganti. Remco Evenepoel favorito designato, Primoz Roglic rivale annunciato in una corsa nata per sorprendere 

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Va a finire sempre così, anno dopo anno. Non si fa in tempo a rendersi conto che è arrivato marzo e con esso il tempo delle classiche, siano esse di mare e anticipatrici della primavera o di pietra che riconducono a volte all’inverno, non fa differenza, che ormai è maggio. E una volta maggio è già giugno, perché maggio è il più breve dei mesi, che va veloce come una bicicletta che scende giù dallo Stelvio. Non c’è auto che può andare più forte di una bicicletta giù dai passi montani, almeno quelli che prevedono tornanti. Maggio scorre veloce tanto quanto va veloce il Giro d’Italia. E il Giro non c’è pericolo che vada lento. Certo, magari a volte sonnecchia, sonnecchia sempre la corsa rosa prima o poi, di solito più prima che poi, ma poi fila dritto e veloce che è una meraviglia.

E si è già a giugno.

E sono già passate tre settimane e gli occhi e la testa sono vuoti di pensieri futuri, di sfide spericolate e immaginarie, e pieni di ricordi. I ricordi si inizieranno a formare sabato da Fossacesia marina. Finiranno domenica 28 maggio a Roma. E allora sarà ormai davvero giugno. E mancheranno poco più di undici mesi al Giro. Maledizione a maggio, che scorre veloce. Che bello maggio, che porta con sé il Giro. 

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Il Giro d’Italia è inutile guardarlo quando lo presentano, è inutile studiarlo, approfondire le tappe, immaginarsi come potrebbe o non potrebbe andare a finire. Fa sempre di testa sua la corsa rosa. Arriva, ci beve maggio come un assetato si svuota una bottiglietta di acqua, ci lascia lì con l’idea che poteva andare diversamente. A volte vince il migliore, il più forte. A volte no. A tal punto che non si capisce come sia stato possibile. Il ciclismo è uno degli sport matematicamente meno esatti tra tutti gli sport matematicamente inesatti. A far somma di watt e vam e altre parolacce simili viene raramente fuori il risultato giusto. Soprattutto al Giro. Il Tour de France ha calcolatrici migliori, le variabili sono tantissime, ma qualcuna di meno. In Italia le variabili tendono all’infinito e non c’è verso di capirci niente. Se non ci sono le gambe non si va da nessuna parte, certo, ma se non c’è scaltrezza e capacità d’adattamento neppure.

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Se ne accorse Jacques Anquetil: “Vinsi il primo Tour de France al primo tentativo. Persi il primo Giro d’Italia che disputai (era il 1959, ndr) perché sbagliai in discesa giù dal Col de la Forclaz, per rientrare feci un piccolo fuorigiri, buttai via la maglia rosa sul Piccolo San Bernardo. Lo stress del Giro devi imparare a gestirlo”.

Si dirà, era un altro ciclismo. Vero. Non è cambiato nulla. Primoz Roglic così commentò il suo primo Giro d’Italia disputato da uomo di classifica, quello del 2019 (finì terzo): “All’ultima settimana, quando avrei potuto, dovuto, fare la differenza, iniziai a capire che ero stremato. Non di gambe, di testa. Dopo oltre duemila chilometri nei quali non ti puoi distrarre per nemmeno un minuto, ti trovi davanti salite durissime, stradine nelle quali ci passano quattro bici al massimo. E poi curve, curve, curve”. E se la testa si impalla, le gambe fanno peggio.

   

       

Il maggio di Primoz Roglic si aggomitolerà nel maggio ciclistico italiano dopo quattro anni. L’obbiettivo lo stesso di allora: vincere. I rivali no, tutti diversi. Non ci sarà Vincenzo Nibali, non ci sarà Richard Carapaz che sfilò in maglia rosa dentro l’Arena di Verona. Dei primi dieci di allora ci sarà solo Bauke Mollema e Pavel Sivakov. Il primo cercherà di fare confusione in fuga, il secondo di aiutare Geraint Thomas e Tao Geoghegan Hart.

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Ci sarà però Remco Evenepoel, favorito designato, l’Eletto pronto a scendere dal Belgio in rosa a miracol mostrare. Di maggio italiani ne ha vissuto solo uno, nel 2021. Ma aveva 21 anni, meno di un anno prima era finito giù da un ponte al Giro di Lombardia ed era già tanto che fosse al via. Da due anni fa è cambiato tutto. È soprattutto cambiato lui. È diventato uomo, prima vincitore di una Vuelta, poi campione del mondo. Ha soprattutto imparato a correre concentrato, ha capito come si pedala appesantito dalla pressione. Le gambe ce le ha, e pazzesche, sembra avere pure scaltrezza e intelligenza. Sapeva benissimo di non avere l’esperienza e forse ancora le capacità di seguire Tadej Pogacar e Jonas Vingegaard per tre settimane, ha scelto di correre altrove, lontano da loro. Ci sono troppi Eletti in questo ciclismo e troppo poco posto dentro una maglia gialla. Anche perché maggio è da parecchio meno eccitante di luglio, senz’altro meno premia molto meno.

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Evenepoel e Roglic sono i prescelti per contendersi la maglia rosa. A cronometro potrebbero illudersi che questo Giro d’Italia sia davvero questione loro. E forse sarebbe meglio così, che nel testa a testa non si può attendere, si deve muovere i pedali e staccare l’avversario. È quando i galli nel pollaio sono tanti, troppi, che si inizia a fermarsi, a valutare che fare, ad assopirsi nel maggio italiano.

Maggio va veloce e veloce partirà pure il Giro. A cronometro, in volata, a cercar sfruttare colline che diventano montagne, che superano i duemila metri sino a Campo Imperatore, primo arrivo in salita, prima grande cima dopo sette tappe che a capirle ci vuole immaginazione raffinata. Sembrano facili, i finali addirittura banali, ma prima si sale e si scende, si risale e si riscende, si mettono nelle gambe metri di dislivello che diventano chilometri. E poi curve, curve, curve. Funziona così l’Italia. Funziona così il maggio italiano. Funziona così tutto il Giro. Che arriva di maggio e di maggio sparisce. Veloce, troppo veloce.

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