A san siro

Tra incertezze e polemiche, la Juventus batte l'Inter e di colpo sembra serena

Giuseppe Pastore

Una partita intensa, non bella come spesso accade nei derby d'Italia. La decide Kostic, protestano i padroni di casa per un presunto fallo di mano di Rabiot nell'azione del gol. I bianconeri si riprendono il centro della scena, plasmati dalla duttilità di Allegri. Mentre il ciclo di Inzaghi in nerazzurro è sembrato chiudersi

Il romanzo della profondissima incompatibilità calcistica e antropologica tra Inter e Juventus ha vissuto ieri sera un nuovo capitolo. Da un lato l'analisi della sconfitta si riduceva, anche un po' sadicamente, alla dissezione dell'episodio decisivo, anzi di quei pochi fotogrammi attorno al primo controllo di Adrien Rabiot, a cominciare da Simone Inzaghi che per l'ennesima volta ha flirtato con la caricatura di sé stesso: e se gli avessero chiesto che ore fossero o cosa volesse per cena, avrebbe continuato a rispondere di Rabiot. Dall'altro lato – anche con una punta di compiacimento, evidente nei ghigni di Massimiliano Allegri – l'accorato invito a “parlare di calcio”, che noi della Juve mica ci lamentiamo quando gli arbitri ci danno torto – e certo, mica era Allegri quello che per due mesi, un'intervista sì e una no, si è attribuito arbitrariamente i due punti in più della Salernitana: ma andiamo avanti. È la commedia umana, dunque anche calcistica, che nell'episodio di oggi propone un Rabiot versione Keyser Soze. Lo ricordate? Il diabolico personaggio interpretato da Kevin Spacey nei “Soliti Sospetti”, che riusciva a prendere per il naso un plotone di detective nascondendogli una verità che avevano letteralmente sotto gli occhi. Così Rabiot ha battuto le occhiute telecamere del VAR, non una ma due volte in una settimana, e tutti i moviolisti del mondo hanno dovuto aggrapparsi al burocratese dell'espressione “immagini non chiare”.

 

Prima e dopo c'è stata una partita intensa, combattuta, non bella come non lo sono mai gli Inter-Juventus. Per la seconda volta in stagione Allegri ha battuto Inzaghi e non ha subito gol: alla Juve non capitava addirittura dal 1976-77, la stagione che inaugurò un ciclo lunghissimo e memorabile con Trapattoni sulla tolda di comando. Ieri sera un ciclo è sembrato più che altro chiudersi: quello – in verità assai breve – dell'Inter di Inzaghi, alla nona sconfitta in 27 giornate, che a detta di tutti sembra destinato a salutare la truppa a giugno, comunque vada a finire la Champions. A detta di tutti, e soprattutto a non-smentita della società, che da settimane sta appiccando piccoli fuochi attorno alla sua panchina.

 

L'Inter è una squadra granitica, ma purtroppo non nel senso che desidererebbe Inzaghi: ferma, immutabile in un 3-5-2 talmente prevedibile che ormai si può azzeccare con esattezza pitagorica il minuto dei cambi, e quel minuto è quasi sempre il 63'. Qualcuno ha la testa altrove (Brozovic), qualcuno non ha il più fisico (Lukaku), qualcuno è semplicemente scomparso (Skriniar), qualcuno è giù di tono (Lautaro) o stranamente impreciso (Calhanoglu): una collezione di piccole smagliature che da sole non costituiscono di per sé la ragione della sconfitta, ma che messe insieme compongono un quadro di progressivo scollamento. Poi qualcuno è più colpevole di altri: per esempio, il movimento dello stralunato Dumfries sul gol di Kostic è roba faticosa da digerire a questi livelli.

 

Così la Juventus ha vinto con merito, sprecando diverse situazioni per raddoppiare, proponendosi in versione sempre migliore col passare dei minuti, rischiando nulla nel secondo tempo quando tutto San Siro s'aspettava l'assedio a oltranza. La duttilità di Allegri – la dote che non gli ha mai fatto difetto nemmeno nelle stagioni più nere – sta nel costruire un meccanismo ad alta affidabilità che prescinde dalla singola assenza (Milik o Alex Sandro, per stare sugli ultimi) perché prevede sempre sostituti all'altezza della situazione, sostenuti da un impianto di gioco solido: anche con De Sciglio per Cuadrado, anche con Kean per Vlahovic, persino con Soulé per Di Maria. È la storia di tutte le Juventus, nella buona e nella cattiva sorte: raramente ti sorprende, ma stai sicuro che c'è sempre.

 

Non è una novità scrivere che il destino di questa stagione, e anche della prossima, è da tempo nelle mani dei tribunali: la Juve ha accettato la situazione, almeno esteriormente, e sta conducendo da due mesi un ottimo esperimento di resilienza (scusate la parolaccia). Nel campionato sbranato dal Napoli, il cui rendimento da Rolls-Royce ha mortalmente depresso la concorrenza, la Juventus semplicemente non se ne cura: ha imparato a fare da sola, ha trovato nel -15 un motivo d'orgoglio per marciare a testa alta, provare a vincere due coppe e chissà, magari rimontare. Del doman non v'è certezza, e di questa filosofia Allegri è il massimo profeta calcistico italiano: in mezzo a una selva di squadre eccitate e tendenti al panico per colpa di tutti questi quarti di finale che magari ci toccherà affrontare persino da favoriti, la Juventus sembra di colpo serena e per nulla appesantita dall'essere di nuovo, come sempre, al centro della scena.

Di più su questi argomenti: