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IL FOGLIO SPORTIVO - IL RITRATTO DI BONANZA

Lionel Messi è diventato umano

Alessandro Bonan

Il numero 10 dell'Argentina è stato il più grande calciatore degli ultimi vent’anni, uno dei migliori di sempre. In Qatar, a 35 anni, non si è fatto corrompere dall’emozione, tradire dalla sua indubbia superiorità

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A volte non basta una vita per trovare la propria identità, senza la quale non si è vissuto mai bene, con la pienezza necessaria, la luce negli occhi. Mentre passano i giorni, gli anni, il talento si inaridisce, la faccia sfiorisce, i pensieri si affastellano, i ricordi si annebbiano. Senza una piena consapevolezza, ci incliniamo come giunchi fino a morire di tristezza. Ma se sappiamo reagire, capire con coraggio chi siamo, in un’indagine avventurosa, in certi casi anche faticosa e mai tardiva, possiamo riscattare tutto il tempo perduto e indirizzare la nostra esistenza verso un futuro migliore.

 

Lionel Messi ci ha impiegato 35 anni per capire meglio alcune cose sul suo ruolo, la sua inclinazione, e adesso, in finale, non avrà bisogno di conferme. Una di queste cose è che non basta essere stati baciati da un dio (qualsiasi esso sia, ma non Maradona per favore, lasciamolo in pace) per cambiare la storia. Lionel è stato il più grande calciatore degli ultimi vent’anni, uno dei migliori di sempre. Ha vinto quasi tutto, perdendosi nel quasi come un bambino in una spiaggia affollata. Con la Nazionale ha perso sin qui 4 Mondiali, questo è il quinto che gioca. In ogni edizione si è disunito sul più bello, cadendo in ginocchio, lo sguardo al cielo, in una preghiera fatta di domande senza una risposta. Chi sono io? Perché non ce la faccio a determinare? Lo sguardo perennemente basso, i conati di vomito, un senso degli altri confuso. Un dare privo di energia, un limite al gesto, come una manifestazione contratta dell’anima. 

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Questo è stato Messi con la maglia dell’Argentina prima dell’avventura in Qatar. Dove da subito, anche nella partita d’esordio persa per manifesta distrazione, si è capito che il ragazzo di Rosario era cambiato, emancipandosi dal calciatore divino che non sapeva parlare alla natura. La vittoria in Copa América gli ha dato probabilmente l’ultima spinta verso la pienezza. Ma quel successo non vale un Mondiale. E, comunque, non è di vittorie che parliamo, bensì di trasformazioni. Prima era etereo, leggero, bellissimo, ma inutile in quanto per nulla terreno. Era Dio, maiuscolo come questa parola a cui si danno molti significati, ma non sapeva essere uomo. Nella terra degli sceicchi, non si è fatto corrompere dall’emozione, tradire dalla sua indubbia superiorità. Si è rimboccato le maniche, come un vero lavoratore, ha ingrossato la voce, solitamente flebile, si è perfino macchiato di fanciullesche reazioni, irridendo gli olandesi come uno scolaro impertinente al suono della campanella. Insomma ha scelto di essere umano, spazzando tutta la polvere mistica che aveva intorno, trovando forze che non sapeva di avere e che invece, viva la vita, risiedono in ogni persona quando si ha il bisogno e l’energia di cercarle. Messi aveva questa necessità di capire chi fosse, una volta per tutte, prima di sfilarsi la maglia della sua Nazionale. Ci è riuscito, a prescindere dal risultato contro i francesi. Anche perdendo, avrà conquistato se stesso. 

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