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qatar 2022

Croazia-Marocco meno di un mese dopo

Enrico Veronese

Nella prima giornata dei gironi, il 23 novembre, le due Nazionali che si giocano il terzo posto ai Mondiali iniziavano, una contro l'altra il loro cammino mondiale: da allora per i maghrebini è cambiato tutto, per gli europei a scacchi solo conferme e qualche rimpianto

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Alla fine come all’inizio. Un mese di Mondiale e pare un secolo, da quando Marocco e Croazia si sfidavano allo stadio al-Bayt per la prima partita del girone eliminatorio F: era il 23 novembre, da allora per i maghrebini è cambiato tutto, per gli europei a scacchi solo conferme e qualche rimpianto. Le due squadre tornano a scontrarsi alle 16 ora italiana nella finale per il terzo posto, sempre più superflua in assenza di medaglie sonanti: nemmeno i bookmaker più spregiudicati, al principio del torneo, avrebbero accettato puntate sopra questo esito alla penultima partita. Il campo non mente quasi mai, ma è dato saperlo solo dopo.

 

Allora finì zero a zero, a dimostrazione di una certa sterilità in zona goal, che vanificava la fluida profusione di gioco da una parte e dall’altra: se il marocchino Youssef En-Nesyri si è poi ripreso segnando almeno il goal decisivo al Portogallo nei quarti, la Croazia ha dovuto alternare tutto il parco attaccanti a rinvigorire Andrej Kramarić e Ivan Perišić, orfani del vicecampione del mondo Mario Mandžukić. Eppure, già in tale occasione il Marocco rivelò alcuni dei propri fondamenti: una batteria di destra ineccepibile (soprattutto Achraf Hakimi), buona costruzione dal basso, nessun timore reverenziale, il talento slanciato di Azzedine Ounahi.

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La collaudata Croazia aveva tirato di più in porta ma senza precisione, con i soliti Perišić e Luka Modrić. “Ai punti” avrebbe vinto, in virtù di un primo tempo più continuo: ma nella ripresa sono usciti i Leoni dell’Atlas a rendere giusto il risultato a occhiali, sigillato anche dalla grande parata di Yassine Bounou sull’incursione di Nikola Vlašić. Proprio l’ala del Torino fu l’unico giubilato nel match successivo (un franco 4-1 al pur tonico Canada): di lì in avanti, il ct Zlatko Dalić ha alternato senza troppi successi Marko Livaja con Canada e Belgio, Bruno Petković di fronte al Giappone, Mario Pašalić nelle sfide in salita contro Brasile e Argentina.

 

Il Marocco invece ha mantenuto praticamente sempre intatto il proprio telaio, rispolverando Abdelhamid Sabiri contro il Canada (ma da interno a disagio), poi rimpiazzando gli effettivi solo per forza maggiore: i difensori Jawad El Yamiq e Yahya Attiyat-Allah, rivelazione contro il Portogallo in luogo di Nayef Aguerd e Noussair Mazraoui, fino alla semifinale giocata con la difesa a tre -fuori inizialmente il motorino Selim Amallah- e i cambi repentini per ovviare alle sfortunate menomazioni nella retroguardia.

 

Cosa resterà del Marocco calcistico dopo i mondiali? E soprattutto, riuscirà a confermarsi a questi livelli, avendo fatto riunire una nazione dispersa per l’Europa? Ci sono tutte le premesse affinché sia così: già quattro anni fa, ai campionati di Russia 2018, in molti aspettavano che i rossoverdi maghrebini costituissero la rivelazione in un girone durissimo, contro le stesse Spagna e Portogallo poi eliminate tra novembre e dicembre nel deserto. Alcuni dei nomi fatti finora sono in rampa verso collocazioni più prestigiose, senza dimenticare i dribbling di Sofiane Boufal, che assieme a Ounahi occupa l’ultima posizione in Ligue 1 nell’Angers. Il Barcelona è pronto a giurare che dal trottolino Abde Ezzalzouli, ora in prestito all’Osasuna, uscirà qualcosa di buono: il tutto è nelle mani di Regragui, dimostratosi all’altezza della situazione, e del progetto di mappatura dei tanti marocchini nel mondo. Di certo l’exploit qatariota ha acceso un faro sopra un movimento calcistico che poco ha da invidiare, per passione e attaccamento, a quelli europei e sudamericani: e c’è da credere che molti “scout” inizieranno a frequentare il torrido derby tra Raja e Wydad Casablanca, in cerca d’ispirazione tra l’assordante coro “Rajawi Filistini”

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La Croazia invece, si sa, pare alla fine del proprio ciclo. Qualcuno resterà da riferimento, altri ancora inesplorati dovranno prima o poi esplodere: mica detto succeda presto, ma se rispettano la tradizione tra dieci-quindici anni ci sarà una nuova ondata potenzialmente vincente. Intanto, l’ultimo sforzo prenatalizio per concludere in bellezza: quattro anni fa Belgio-Inghilterra fu una grande partita, e anche allora le due squadre si erano affrontate nei gironi eliminatori. Le premesse per un bis all’insegna del divertimento, nonostante due tra le migliori difese, ci sono tutte.

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