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football americano

Il momento nero di Tom Brady

Mattia Righetti

La sconfitta patita questa notte dai suoi Tampa Bay Buccaneers contro i Baltimore Ravens ha aperto ufficialmente la crisi sportiva che va a fondersi a quella che sta affrontando nella sua vita privata, la separazione dalla moglie Gisele Bundchen

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Che per Tom Brady questa stagione fosse strana potevamo aspettarcelo dal momento in cui ha annunciato al mondo il suo ritorno in Nfl a quaranta miseri giorni di distanza dai commossi post d’addio alle armi. Strana, però, raramente è sinonimo di disastrosa. Quello visto fino a questo punto della stagione non è il Tom Brady che abbiamo imparato a conoscere, il superuomo apparentemente immune all’invecchiamento e alle sciagure. I suoi Tampa Bay Buccaneers, solamente due mesi fa considerati all’unanimità fra i favoriti per il Super Bowl, arrancano. Anzi, spariamola grossa finché possiamo: fanno pietà.

 

L’attacco da lui guidato, complici infortuni, ritiri e trasferimenti vari è asettico, spuntato, fastidiosamente inconcludente. Immancabilmente sul podio per punti fatti dal suo avvento in Florida, il reparto offensivo dei Buccaneers fatica a mettere a referto poco più della metà dei trenta punti a partita a cui ci aveva abituato. Quella che fino all’anno scorso era una macchina (quasi) perfetta si è trasformata inspiegabilmente in una carriola che ha smesso di incutere timore a chiunque. Non è un caso che le sconfitte stiano cominciando ad arrivare a grappoli: quella di questa notte contro i Baltimore Ravens è la terza consecutiva. Una squadra condotta da Tom Brady non perdeva tre partite di fila dal 2002.

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Il deprimente rendimento in campo va a braccetto con quello, se possibile ancora più tragico, della sua vita privata, sconquassata dal divorzio – ufficializzato poche ore fa – con Gisele Bundchen. Non ci sentiamo in diritto – e non vogliamo – di speculare sulla relazione con l’ex moglie, ma secondo i beninformati media americani a scrivere la parola fine a quella che a tutti gli effetti sembrava essere una fiaba è stato il suo clamoroso dietrofront sul ritiro. Dopo aver rinunciato alla propria carriera a scapito della famiglia Bundchen si aspettava che, a quarantacinque anni d’età e con un palmares irraggiungibile, Brady ricambiasse il favore dando priorità alla vita famigliare. L’impegno si è protratto solamente per quaranta giorni, un’invivibile eternità per il più grande giocatore di football americano di sempre.

   

     

Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto lo si era capito già ad agosto quando, dal nulla, Brady si prese un paio di settimane di pausa dalla rigida preparazione estiva con il resto della squadra per “motivi personali”. Quei “motivi personali” altro non furono che undici giorni alle Bahamas con la famiglia. Undici giorni che, col senno di poi, non hanno sortito l’effetto desiderato.

  

Non ha alcun senso prendere le parti di uno o dell’altra, ma la frustrazione di Gisele è assolutamente comprensibile. Un Super Bowl in più, a questo punto, non cambierebbe di una virgola il nostro giudizio su Brady. Sette Super Bowl, otto Super Bowl, che differenza fa? Perché sacrificare la propria apparentemente perfetta vita privata per perseverare in una disciplina alla quale si ha già dato decisamente troppo?

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Appare evidente che Tom Brady non possa funzionare come essere umano senza football americano: è l’unica ipotesi decentemente sensata.

  

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L’incubo professionale e umano che sta vivendo ci ha permesso – forse per la prima volta dall’inizio del suo regno di terrore in National Football League – di empatizzare con lui, di riconoscerci parzialmente nelle sue tribolazioni e dolori. I Buccaneers prima o poi si riprenderanno e, qualora non dovessero riuscirci, non succederebbe niente perché non sarà una stagione anomala a spodestarlo dal trono della disciplina di cui il suo nome è diventato sinonimo. Il matrimonio con Gisele, l’epilogo felice del classico film sportivo americano nel quale il quarterback immancabilmente finisce insieme alla bella del liceo, è ufficialmente storia del passato, soprattutto nella sua testa: fra dieci giorni lo attendono i Los Angeles Rams campioni in carica.

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