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Il Foglio sportivo

Pizzo, la leggenda della pallanuoto: “Pochi soldi, ma tante emozioni”

Roberto Perrone

Un Caimano è per sempre. Sedici scudetti, Coppa dei Campioni, medaglia d'oro olimpica a Roma '60. Ha cominciato a 13 anni e smesso, in acqua, dopo 32 anni. Le parole del campione

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Una vita da Caimano (diffidare delle imitazioni). Con Eraldo Pizzo ci si incontra spesso all’edicola di Recco – dove ogni giorno passa ad acquistare il suo quotidiano (“La Stampa”) –, sotto il ponte ferroviario che taglia in due il borgo, per sua sfortuna (del borgo). Infatti gli anglo-americani vennero a bombardarlo quasi trenta volte nel 1943 e della vecchia Recco non c’è più nulla, neanche un carruggio. Eraldo Pizzo aveva cinque anni (ne ha compiuti 84 il 21 aprile). “Ma non ricordo niente anche perché io e la mia famiglia siamo venuti da Rivarolo e andammo ad abitare tra Recco e Camogli, sai, dove ora c'è il supermercato. Papà lavorava alla San Giorgio. Meccanico, camionista, di tutto in po’. Se uno sapesse fare quello che sapeva fare lui, ora, diventerebbe milionario. A quei tempi là, con cinque figli, serviva appena a mantenere una famiglia. Dopo la guerra ci siamo trasferiti un po’ più in qua, papà era diventato il guardiano di una villa”. 

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Una vita da Caimano (diffidare delle imitazioni). Con Eraldo Pizzo ci si incontra spesso all’edicola di Recco – dove ogni giorno passa ad acquistare il suo quotidiano (“La Stampa”) –, sotto il ponte ferroviario che taglia in due il borgo, per sua sfortuna (del borgo). Infatti gli anglo-americani vennero a bombardarlo quasi trenta volte nel 1943 e della vecchia Recco non c’è più nulla, neanche un carruggio. Eraldo Pizzo aveva cinque anni (ne ha compiuti 84 il 21 aprile). “Ma non ricordo niente anche perché io e la mia famiglia siamo venuti da Rivarolo e andammo ad abitare tra Recco e Camogli, sai, dove ora c'è il supermercato. Papà lavorava alla San Giorgio. Meccanico, camionista, di tutto in po’. Se uno sapesse fare quello che sapeva fare lui, ora, diventerebbe milionario. A quei tempi là, con cinque figli, serviva appena a mantenere una famiglia. Dopo la guerra ci siamo trasferiti un po’ più in qua, papà era diventato il guardiano di una villa”. 

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Scusate il personalismo, ma mi fa strano mantenere le distanze con questo monumento a cui piace stare giù dal piedistallo, in pensieri, parole e opere. Ci conosciamo da quarant’anni. Quando ne aveva cinque non pensava ancora di diventare il Caimano, il più grande giocatore italiano di pallanuoto, 16 scudetti (15 con la Pro Recco uno, eresia, con il Bogliasco), Coppa dei Campioni, medaglia d’oro olimpica a Roma ‘60. Il simbolo assoluto della Santa Waterpolo, lo sport di squadra più vincente e più misconosciuto. “I nostri risultati sono fantastici ma non c’è un riscontro nei media, negli sponsor, mah”. Se penso a Eraldo e alla pallanuoto, Eraldo c’è sempre stato, c’è e ci sarà, come canta Roberto Vecchioni di Velasquez: “Un vecchio zingaro ungherese / Di te parlando mi giurò / Che c’eri prima di suo padre / Prima del padre di suo padre / più in là nel tempo non andò”. Il fatto che lo zingaro sia ungherese, parlando di pallanuoto, non è casuale. Ha fatto il caimano in acqua, il dirigente fuori, ha vinto in tutte le sue manifestazioni. Fino a poco tempo fa era vice presidente della Pro. “Ora non ho incarichi, non sono più utile”. Punto e a capo.  

 

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“La prima partita ufficiale a 13 anni, nel 1951. E non una partita qualsiasi, Camogli-Recco, il derby a casa loro: 2-2. Segno il mio primo gol”. La pallanuoto era il mare, era nel mare. “C’era la diga con il campo all’interno della scogliera: lì giocavamo. Da mattina a sera sulla spiaggia. Mio fratello Piero andava lì e io, quattro anni più piccolo, dietro, lui mi proteggeva, stava attento. Meno male che a lui piaceva la pallanuoto. Se avesse giocato a calcio non avrei avuto successo, ero proprio scarso, il mio destino era quello. Sono felice di quello che ho fatto”. L’epopea della Pro Recco nasce nel 1959. Trieste, finali nazionali. Contro le grandi squadre di Napoli partì una squadra di ragazzini e, dalla cittadina ligure, un gruppo di eroici tifosi in Vespa. “Non eravamo tutti di Recco, ma tutti cresciuti qui, sulla spiaggia. L’unico foresto era il portiere Merello che veniva da Genova. Piero lo andò a prendere in Serie C al Genoa nuoto: il nostro straniero veniva da via Orsini, adesso arrivano dall’Australia, dall’America dalla Nuova Zelanda". La vogliamo ricordare quella formazione?

 

Merello, Lavoratori, Guidotti, Giraldi, Maraschi, Cevasco, E. Pizzo, Sogliano. All. P. Pizzo. “I rinforzi, dopo, vennero da squadre di C, Alberani, Ghibellini, Zecchini, Galbusera, tutti finiti in Nazionale. Motivo di orgoglio, era un bell’ambiente”. Pizzo fa una pausa. “Ora devo stare attento perché gli anziani non devono superare una certa linea, quando parlano. Se lo fai i giovani subito pensano: ‘Le solite robe da vecchi’. E li capisco”. 

 

Dì, dì, non ti preoccupare. “Era puro divertimento, non prendevi niente. Non è che sia contento di non aver guadagnato, però le emozioni riempivano tutto. Giocavi e vincevi, avevamo un paese alle spalle, a Recco eravamo la banda dei ragazzini. A Trieste ci siamo imposti con una pallanuoto moderna, di movimento. In quella vecchia il marcatore arrivava fino a metà campo, noi abbiamo scombussolato tutto: mai fermi, secondo le indicazioni di mio fratello Piero”. Quella Pro Recco era un simbolo perfetto dei tempi, boom economico, grandi speranze. “Era tutto bello, non avevi niente che fosse in più, ma quel poco ti bastava, come il rapporto tra di noi. Queste cose si sono perse. Non avevamo una lira in tasca, andavamo al cinema a Camogli, al Sociale, a piedi. Dicevo no al gelato: ‘Sono pieno’. La verità: non potevo pagare. Un po’ di nostalgia ce l’ho, ti confesso, ora abbiamo tutto e non abbiamo niente, siamo deficitari dal lato umano”. 

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E la pallanuoto? “Quella di adesso non mi piace, forse è perché mi ricordo quando andavo alla Scandone, a Napoli, e c’erano i bagarini. I bagarini, dico, come al San Paolo. Oggi fai l’ingresso gratis e non riempi una tribuna. Qualcosa non va. E non lo dico contento, perché se la pallanuoto vince si ricordano di me”. 

 

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Adesso la Pro Recco è una  multinazionale. “Comprensibile, sono cambiati i tempi. Comunque sono sempre in ballo, questi ragazzi, si allenano tanto, hanno una manifestazione via l’altra”. Rimpianti? “Come uomo no perché ho avuto la fortuna di avere una moglie come Anna e tre figli splendidi. Sono molto soddisfatto della famiglia. Da giovane non ero quadrato, diciamo così, Anna ha tirato le righe: l’ho conosciuta a 16 anni. Stiamo insieme da sessantotto e ne facciamo sessanta di matrimonio”. Complimenti. “Da pallanuotista forse mi manca qualcosa di più a livello internazionale. Puoi essere Pelè o Ronaldo, ma se non ti supporta la squadra non vai avanti. Però ho avuto sempre belle esperienze dal lato umano. A Bogliasco, nel 1981, uscivo dall’ufficio e andavo in piscina. I ragazzi non entravano in acqua se non c’ero io. Non mi hanno mai considerato per quello che facevo, ma per come stavo con loro, più una guida che un campione”. 

 

Ha cominciato a 13 anni e smesso, in acqua, dopo 32. Ha interpretato vari ruoli, ma sempre a modo suo, feroce come un rettile nel suo elemento naturale; con gentilezza, disponibilità e perfino con una sorta di timidezza fuori. Suo uno dei più grandi assiomi sportivi valido non solo per la pallanuoto, (quelli del calcio dovrebbero mandarlo a memoria): l’arbitro devi metterlo in condizione di non nuocere. “Se sbaglia, faglielo notare in un privato. Apprezzerà. Una scenata in pubblico se la legherà al dito”. Caimano di saggezza. Alla fine spieghiamo il soprannome? Per i denti aguzzi? Eraldo se la ride. “Ma va. Quando giocavamo in mare, l’arbitro stava su una barca e a controllare tutto faceva molta fatica. Quando fischiava ti dovevi fermare dov’eri, ma in piscina ci sono punti di riferimento, in mare no. Così io mi spostavo in avanti lentamente con gli occhi a pelo d’acqua. Il portiere avversario mi sorprese: “Guarda che ti vedo, sembri un caimano”. E caimano sia.

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