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Oltre i cliché

La storia del gemellaggio Lazio-Inter è un altro segnale della fine del Novecento

Giuseppe Pastore

Stasera all'Olimpico in campo biancocelesti e nerazzurri: come sempre si torna a parlare di rapporti tra tifosi, precedenti e presunti incidenti: dal 5 maggio al celebre "Oh nooo", fino a De Vrij e Acerbi. Ma riflettere sulle curve oggi ha il sapore di una discussione tra appassionati di carrozze a cavalli 

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Non saremo noi ad alzare il ditino sul fatto che, ogni volta che all'Olimpico c'è Lazio-Inter, la viabilità pubblica e privata intorno allo stadio è molto più riposante della media: si può normalmente e liberamente circolare con una sciarpa nerazzurra al collo, persino esibire la maglietta dell'Inter, senza rischiare brutti accidenti a glutei o addome. Allarghiamo il raggio anche alla controparte giallorossa, che da tempo non può vantare gemellaggi altrettanto solidi con altre grandi tifoserie del calcio italiano: risale alla preistoria – i primi anni Ottanta – la vecchia alleanza con il Milan, finita in malora dopo la tragica morte di Antonio De Falchi a margine di un Milan-Roma del 1989.

 

Anche quest'anno arriva Lazio-Inter e anche quest'anno qualcuno tira fuori la vecchia storia del gemellaggio Lazio-Inter, stavolta a causa dell'abbozzo di trattativa per Acerbi, che sembra peraltro in fase calante a causa della sollevazione popolare dei tifosi interisti. La storia è nota: lo scorso 24 aprile il Milan ha vinto 2-1 in casa della Lazio nei minuti di recupero, invertendo così il corso emotivo della volata-scudetto, grazie anche a una poderosa baggianata di Acerbi nell'azione del gol decisivo di Tonali. Dalle fogne dei social è emerso un pugno di fotogrammi che i più invasati hanno interpretato come la pistola fumante del tradimento filo-milanista di Acerbi: una risatina isterica pochi istanti dopo il gol, mentre veniva pesantemente rimbrottato dal compagno di squadra Marusic (colpevole almeno quanto lui, ma siccome stava facendo la faccia cattiva è passato inosservato). Queste facezie senz'alcun appiglio con la realtà non hanno ovviamente impedito a Simone Inzaghi di mettere Acerbi in cima alla lista dei desiderata come vice-De Vrij, secondo il copione consolidato che vede il tecnico interista amarsi circondare di fedelissimi del suo 3-5-2, com'è successo l'anno scorso con Correa e Caicedo (con esiti rivedibili).

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Nessuno – giustamente – ha chiesto a Inzaghi se la trattativa Acerbi potesse urtare la suscettibilità di una delle due tifoserie, anche perché Acerbi è cordialmente detestato dagli stessi laziali per ragioni precedenti al Lazio-Milan di cui sopra. Oltretutto un precedente c'è già, risale al 2018 e riguarda Stefan De Vrij, che si congedò dalla Lazio nel modo sportivamente peggiore, franando su Icardi e causando un rigore decisivo per il sorpasso dell'Inter sulla Lazio nello spareggio-Champions all'ultima giornata. Per poi passare a parametro zero all'Inter, con cui aveva già trovato un accordo: capite bene che, se il gemellaggio Lazio-Inter avesse ancora qualche importanza, questa cosa non sarebbe passata impunita.

 

Così riflettere sulle curve oggi – tutt'altro che i sacrari di una volta, svillaneggiate persino sui social, dove in parecchi derubricano il Sacro Patto che resiste “oltre il 5 maggio” all'amicizia tra un centinaio di Irriducibili e un centinaio di Boys – ha il sapore di una discussione tra appassionati di carrozze a cavalli o di pipe in radica. A meno di non voler scivolare nella cronaca nera, sembra sempre più difficile trarne un qualche spunto giornalistico, tanta è ormai la distanza tra il mondo ultras e la realtà. Non è che Marotta si è preoccupato dell'etichetta quando nell'estate 2021 ha portato via Simone Inzaghi alla Lazio contattandolo poche ore dopo che era stato a cena con Lotito; del resto, al primo “ritorno a casa” l'Olimpico non era molto compiaciuto di ritrovare Inzaghi trasferitosi un po' alla chetichella dagli amici interisti. L'argomento trabocca di fascino, ma di un fascino rétro, irreplicabile nelle nostre vite frammentate e individualiste che purtroppo ci impediscono di fare squadra per cose ben più serie di una fede calcistica (argomento peraltro estremamente serio, e chi lo nega). Dei gemellaggi, dell'onore, degli striscioni dai font inquietanti rimane pochissimo: folklore, da liquidare con un “chi se ne frega” se siete adepti del cinismo di vecchia o nuova generazione, addestrati fin da adolescenti alla disillusione, inariditi dalla prosa secca dei social. Il che dispiace, ovviamente, perché la magia della curva è ancora oggi fuori discussione e ogni tanto riemerge prepotente nella sua fisicità: gli stadi sono tornati pieni compreso l'Olimpico laziale, in festa nella prima giornata contro il Bologna dopo una stagione gelida. Le curve incidono ancora sulla colonna sonora della partita che guardiamo da casa o allo stadio. Ma la vita di curva è ormai di un'irrilevanza conclamata, spiacevole ma inevitabile, come ci dispiace che non ci siano più i numeri fissi dall'1 all'11 o che la Champions League non si chiami più Coppa dei Campioni e che vi partecipi la quarta classificata della Bundesliga invece che la vincitrice del campionato bulgaro.

 

Le curve old style resistono fiere e tetragone al contemporaneo nell'indifferenza generale, con qualche sporadica alzata di capo solo di alcune redazioni che guardano al passato sono ben contente di rispolverare ogni volta il 5 maggio 2002 e lo striscione “Oh nooo” con la stessa voluttà con cui si parla di fatal Verona ogni volta che il Milan va a giocare a Verona. Pigrizia, abitudine, mancanza di argomenti. Ma ormai non sono più un fenomeno da analizzare: sono semplicemente un discorso superato. Lo stato del gemellaggio Lazio-Inter, ancora bello solido nonostante i fatti della vita ogni tanto lo mettano a dura prova (per esempio, le opinioni divergenti su José Mourinho) ma sempre più marginale, è un altro segnale della fine del Novecento.

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