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Blitz

Ricordiamo la vittoria dell'82 e non i retroscena: i campioni del Mundial furono scorticati

Antonio Gurrado

Nel quarantennale di quell’indimenticabile estate, nel rincorrersi di fotogrammi scintillanti come la coppa levata da Zoff al cielo di Madrid, sono mancati i memoriali sull’autunno dei protagonisti dell'impresa: consegnati alla storia ma sottoposti allo stridio della cronaca

Immaginate Checco Zalone che intima a Lorenzo Insigne di annusare Enrico Mentana mentre è in call con Monica Bellucci. Assurdo, come no, però già accaduto: domenica 14 novembre 1982 durante una puntata di “Blitz”, ospite la nazionale di calcio campione del mondo. Cinque minuti dopo la sigla, già Paolo Villaggio denuncia il body odor di Gianni Minà, dando corpo olfattivo a un’impressione di trasandatezza causata dal pingue conduttore in cardigan attorniato da segaligni calciatori in completo e cravatta, incluso un giovanissimo Daniele Massaro con un’incongrua giacca da caccia dotata di toppa in pelle sulla spalla destra per ammortizzare il rinculo di un fucile che, si spera, non aveva portato nello studio F/2 di Milano.

 

Chiede allora a Bruno Conti, seduto lì di fianco, di annusare Minà e l’uomo elevato da Pelé a miglior giocatore del Mundial esegue senza farselo dire due volte, mentre il conduttore è al telefono con la madrina della trasmissione, Claudia Cardinale. Costei è costretta a casa da una brutta influenza e la chiamata – con Minà che tiene la cornetta appiccicata all’orecchio nonostante l’attrice sia in vivavoce – è uno Zoom ante litteram, che per intensità precognitiva viene superata soltanto dal medesimo Villaggio che esige, dopo aver stretto le mani altrui, un disinfettante per le proprie.

 

Nel quarantennale di quell’indimenticabile estate, nel rincorrersi di fotogrammi luminosi come i pomeriggi del Sarriá o scintillanti come la coppa levata da Zoff al cielo di Madrid, sono mancati i memoriali sull’autunno dei campioni, il cui avvio può essere individuato proprio nell’ospitata televisiva. Colpisce che non ci siano tutti: manca Ciccio Graziani, immobilizzato da un infortunio e collegato mentre indossa un maglioncino ricamato con aeroplano, il cui orrore è superato solo dalla canzone che ha scritto e che non risparmia agli spettatori; manca Dino Zoff, che in un’intervista registrata è oltremodo torvo nell’esprimere gioia retrospettiva per il titolo mondiale subito dopo uno stentato pareggio con la Cecoslovacchia, alla prima gara ufficiale post Bernabeu. Per quanto gli ospiti si assiepino sugli scranni attorno a Minà, è impossibile non notare altre defezioni e, forse ancora più significativa, la presenza di un Franco Selvaggi espressamente irritato dagli sfottò (ai Mondiali non aveva giocato un minuto), a pochi metri dal fumigante Bearzot che serafico si ravviva la pipa.

 

A rivederla oggi, si rischia di farsi prendere dalla nostalgia per un calcio e una tv irrimediabilmente perduti, fra un Gian Paolo Ormezzano che guarda forsennato l’orologio e un Gianni Brera che emana spiegazioni etno-antropologiche del preventivato insuccesso della spedizione spagnola, mentre in sovraimpressione si accendono i risultati della Serie B (Milan-Foggia 2-0, goal di Romano), con picchi di situazionismo culminanti nel lungo monologo in polacco che Wladyslaw ŻZmuda, all’epoca in forza al Verona, tiene confabulando con un’interprete pronta a renderlo con quattro parole di italiano in croce. Invece quell’ora e mezza disponibile su RaiPlay – hanno tagliato i servizi filmati per accorciare l’infinita broda della diretta pomeridiana – è un documento irripetibile di come l’Italia si rapporti ai personaggi che la illustrano.

 

Tutti ricordano lo scetticismo di giugno, tutti ricordano il trionfale bandwagoning di luglio, ma a tutti sfugge l’attrito di novembre: quando, in diretta sulla rete 2, i campioni del mondo vennero trattati da personaggi consegnati alla storia ma al contempo sottoposti allo stridio della cronaca; celebrati nella gloria nazionalpopolare (Claudia Cardinale viene improvvisamente passata a Marco Tardelli, che la congeda con due parole di circostanza e riattacca) però scorticati da retroscena e attualità. E’ una trasmissione gioiosa e cupa, il cui senso è racchiuso nella domanda del tragico buffone Paolo Villaggio. Non quella sull’afrore di Minà ma quella diretta a Bearzot, su come ha fatto a sopravvivere all’Italia piccola e impiegatizia, mondo di invidia feroce. E, infatti, quella nazionale vittoriosa non sopravvisse.
 

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