L'Italia della pallavolo maschile, quarta nell'ultima Nations League (Ansa)

Il volley italiano è un sistema che funziona nonostante (o grazie?) a una popolarità inferiore a quella che merita

Gabriele Spangaro

L'Italia è costantemente ai vertici della pallavolo mondiale, anche a livello giovanile, ma in un paese che vive di calcio non viene considerata quanto dovrebbe. Meglio così, godiamoci i campioni

Le sconfitte della Nazionale italiana maschile in semifinale e in finale per il terzo posto di Volleyball Nations League, rispettivamente contro Francia – poi campionessa – e Polonia fanno rumore fino a un certo punto. Sono state sconfitte pesanti solo all’apparenza: all’Unipol Arena di Casalecchio di Reno, in entrambe le occasioni l'Italia ha giocato male, poco efficace in attacco, per nulla in ricezione e incapace di opporsi agli attacchi di Ngapeth e compagnia prima, e di Kurek e soci poi. Tuttavia, lo stesso coach De Giorgi al termine della finalina contro la Polonia non è sembrato molto preoccupato, consapevole che quest’Italia è “una squadra giovane e talentuosa” e che le sconfitte come queste sono una lente d’ingrandimento su ciò che va migliorato, in vista non solo del Mondiale che inizia fra un mese – gli azzurri esordiscono a Lubiana contro il Canada il 27 agosto –, ma anche per appuntamenti internazionali più lontani, come l’Olimpiade.

Come si diceva, questa sconfitta fa poco rumore, perché certo la competizione ha meno risonanza di altri tornei, essendo annuale a differenza del Mondiale, per esempio, per cui si attendono quattro anni, ma anche – e soprattutto – per merito del movimento pallavolistico stesso.

L’impressione è che le sconfitte e le “brutte figure” non siano niente più che una distrazione o un inciampo nel percorso verso un altro torneo di vertice. Certo questa fase finale non era l’appuntamento più atteso e interessante della stagione, però la sensazione era quella di una competizione di passaggio verso un futuro prossimo sui podi, nonostante si disputasse davanti al pubblico di casa. L’impressione, cioè, è che il mondo della pallavolo non dipenda dal famigerato “ciclo” tanto ricercato nel mondo del calcio, perché il ciclo c’è già ed è continuo.

La frequenza delle competizioni aiuta a superare i passi falsi, ma siano riconosciuti i meriti di un’organizzazione vincente e sostenibile.

Basta guardare all’anno scorso, Olimpiade di Tokyo, grande appuntamento dove entrambe le selezioni hanno deluso, uscendo ai quarti di finale, e un mese dopo si sono laureate entrambe campionesse d’Europa a Belgrado, tana di Tijana Bošković, e a Katowice, in Polonia.

Si veda all’Italia femminile che ha appena trionfato in Nations League per la prima volta, dominando il Brasile in finale e perdendo un solo set dai quarti in poi, contro la Cina. E a conferma del fatto che non si teme il ricambio generazionale, si vedano le prestazioni delle nazionali giovanili, con i ragazzi dell’u22 e dell’u18 campioni d’Europa, e le ragazze dell’u21 e dell’u17 anche loro campionesse continentali, tutto nella stessa settimana, che vanno a sommarsi alle undici medaglie ottenute dai giovani dal 2019 al 2021.

La pallavolo in Italia è uno sport di vertice e un movimento vincente, anche se i numeri non le danno la popolarità che i successi forse meriterebbero, pur essendo uno sport a squadre con un pallone: stando ai dati del Rapporto di sostenibilità 2019-2021, redatto dalla Fipav stessa, i tesserati in Italia nel 2021 erano 306.846 di cui quasi 220 mila atlete e atleti (prima della pandemia, nell’annata 2018/19, il totale degli atleti era superiore a 320 mila). Che l’Italia sia un paese calciofilo è un’ovvietà, ma se si vuole fare un paragone con i numeri del calcio, secondo i dati del Report 2022 della Figc, si scopre che solo i tesserati del calcio dilettantistico delle squadre maggiori, nel 2021 erano quasi 337 mila (nel 2018/19 erano 360 mila). Nell’ultimo anno cioè solo i calciatori dilettanti erano più di tutti i tesserati Fipav, che comprendono anche le giovanili e tutti i collaboratori, tra cui allenatori e dirigenti. Insomma, pochi ma buoni verrebbe da dire.

Ma non è detto che sia proprio questa popolarità da sport minore che ha la pallavolo – sembra quasi un controsenso visti i risultati, ma quello è – a consentire alle pallavoliste e ai pallavolisti italiani di fare la propria strada senza eccessive pressioni mediatiche, come sarebbe dovuto e auspicabile a tutti i giovani atleti.

Si pensi a Paola Egonu, non solo miglior giocatrice dell’ultima Nations League, e detentrice del record per la schiacciata più veloce mai registrata nella storia della pallavolo femminile – 112.7 chilometri all’ora – ma anche, verosimilmente, attuale miglior opposto al mondo. Oppure a Elena Petrini, classe 2000, fortissima schiacciatrice prodotto – e come lei altre della squadra vincente in Vnl - del Club Italia, “collegiale permanente”, che prepara i talenti che rappresentano “l’anello di congiunzione tra la fine dell’attività giovanile e il posizionamento ad alto livello” – così li definisce la stessa Fipav. E per chiudere ad Alessandro Michieletto classe 2001 per 211 centimetri di altezza, schiacciatore di Trento, già eletto migliore nel ruolo agli ultimi europei, e Yuri Romanò, classe ’97, opposto erede di Zaytsev.

E allora c’è da fidarsi di De Giorgi se dice che il talento c’è, ma è solo questione di tempo ed esperienza, perché l’Italia della pallavolo non sembra fallire due appuntamenti di fila, e il prossimo è il mondiale, uno di quelli importanti. Dalle ragazze si attende una conferma, dai ragazzi un passo in più, con licenza di sorprendere.

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