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Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA

Il ritorno di Lukaku e il margine d’errore che porta con sé

Alessandro Bonan

Il gigante si era trasferito a Londra, cercando il denaro, dimenticando Milano, la sua casa, il suo lavoro, l’amore. Ora è tornato, ma cosa è rimasto del centravanti che sfondava il muro avversario a colpi di coscia, petto e spalla? E se si fosse all’improvviso spenta una luce dentro il suo gioco?

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"Non scegliere i progetti per denaro, ragiona sul piano artistico, i soldi arriveranno”. È una frase attribuita da Woody Allen a Jack Rollins, suo leggendario produttore, morto a cento anni e tre mesi con in tasca il film della sua vita. Sono parole semplici ma cariche di effetto, come un tiro nel sette. Applicate al puro business, rimbalzano vicino e poi cadono, nessun manager sposerebbe un pensiero del genere. Ma cos’è il calcio, questa la domanda, è arte o affare? Risposta scontata, entrambe le cose. Ma c’è un altro punto di vista da cui guardare un rettangolo di gioco: dall’alto, dove spira un vento diverso e l’aria si fa pulita. E visto che parliamo di altezze, non possiamo non pensare a sua maestà Lukaku, il gigante che si era trasferito a Londra, cercando il denaro, dimenticando Milano, la sua casa, il suo lavoro, l’amore.
 

Dall’alto Romelu avrebbe dovuto vedere un po’ meglio, capire che i soldi non sono l’essenziale, soprattutto quando ne hai già abbastanza per vivere cento vite diverse e tutte ricche e fantasiose, come un foulard di Hermès. E invece, comportandosi da industriale della pentola, ha messo il coperchio ai suoi sentimenti ed è partito alla volta del nuovo mondo, che poi così nuovo per lui non era. Il calcio, con le sue regole strampalate, i suoi regali gratuiti, le offese al denaro, lo sperpero che si consuma in barba a ogni crisi, che sia la guerra o il Covid, gli ha permesso di tornare sui suoi passi, recuperando il nastro di un film che pareva già portarlo ai titoli di coda di una carriera ancora imberbe, nonostante i peli sul viso. Ma cosa è rimasto del centravanti che sfondava il muro avversario a colpi di coscia, petto e spalla? Perché nessuno se lo chiede? E se si fosse all’improvviso spenta una luce dentro il suo gioco? L’allenatore che lo ha reso immarcabile non c’è più, condotto dal destino (e dal denaro) nel viaggio opposto al suo.
 

Insieme a Conte aveva dato il meglio, giocando come un pivot del basket, in un’azione codificata e certa, fatta di palleggio perimetrale finalizzato alla creazione dello spazio per il gigante e il gemellino Lautaro. Con il realismo di chi diffida dell’incerto, Inzaghi ricercherà la stessa strada. Ma chi ci dice che nel frattempo il calcio con i suoi uomini, non sia cambiato al punto tale da confutare un piano tanto efficace’? In ogni ritorno a casa la luce è sempre uguale, ma noi siamo diversi. È il tempo che scorre, lasciando dentro noi stessi un inespresso margine d’errore.

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