L'analisi

Quanto si guadagna con una squadra di Serie A?

Filippo Passeri

Negli ultimi anni un numero crescente di fondi e aziende, soprattutto americani, ha iniziato a investire nei club del campionato italiano. Ma è davvero redditizio acquistare una squadra della massima serie?

“Lo scudetto è stato uno spettacolo straordinario. Nessuna vittoria negli Stati Uniti, nemmeno il Super Bowl, mi ha dato le stesse emozioni”. Con queste parole il neoproprietario del Milan, Gerry Cardinale, si è presentato ai tifosi rossoneri e alla stampa italiana. Cardinale è il numero uno di Redbird, il fondo che ha acquistato per 1,2 miliardi il 70 per cento del Milan. La nuova proprietà americana (che sostituisce Elliott, sempre statunitense) rimpolpa la compagine, già cospicua, di presidenti stranieri che possiedono club del campionato italiano, arrivata a nove: Milan, Roma, Bologna, Atalanta, Fiorentina, Genoa, Inter, Spezia e Lecce.

    

Se la Serie A degli anni Novanta o dei primi Duemila, era quella delle proprietà italiane, gestita da imprenditori "tifosi", come l’Inter di Moratti, il Milan di Berlusconi e la Roma di Sensi, il maggior costo di gestione dei club, e l'ingresso di capitali internazionali contro i quali le risorse delle famiglie italiane difficilmente potevano competere, ha allargato i confini del calcio tricolore. E così un numero crescente di fondi e aziende, soprattutto americani, ha iniziato a investire nelle società di Serie A, puntando sul fatto che una migliore gestione finanziaria avrebbe riportato il calcio italiano agli antichi fasti aumentando il valore dei club.

   

Molti investitori ritengono che le squadre italiane siano svalutate rispetto al loro reale valore e in confronto con altri campionati. Basta vedere la differenza di prezzo di acquisto tra Milan e Chelsea, cedute entrambe negli ultimi mesi. Il 70 per cento della squadra italiana è stato venduto per 1,2 miliardi di euro, la squadra inglese per 4,25 miliardi di sterline. Il confronto è impietoso se si pensa, soprattutto, che il Milan ha appena vinto il campionato mentre il Chelsea è arrivata solo terza in Premier League. Inoltre, le regole che permettano di ricavare profitto in Serie A sono più flessibili rispetto a quelle di altri paesi europei come la Germania (dove c'è però la regola del 50+1, ossia le quote devono appartanere per la maggior parte ai soci del club). Quindi, l’investimento da fare per acquistare una squadra italiana e più basso rispetto al panorama europeo, e può determinare, di conseguenza, un margine di profitto maggiore. Altro fattore da tenere in considerazione è che in Italia il calcio è lo sport più seguito a differenza di Inghilterra, Francia o Germania dove il mercato sportivo è maggiormente vario.
 

Secondo l’analisi di KPMG per Football Benchmark, le fonti di guadagno dall’acquisto di una squadra si snodano in: capitale economico, strategico, culturale e sociale. Dal punto di vista economico la ragione principale alla base degli investimenti è quella di gestire le squadre come imprese al fine di ottenere dividendi e crescita di capitale, grazie ai diritti televisivi e all'aumento della sostenibilità finanziaria favorita dall'introduzione del fair play finanziario. Se un investitore riesce a trovare la squadra giusta e applica una strategia di successo, può ottenere un cospicuo ritorno sull'investimento. Quello che Elliot è riuscito a fare con il Milan. Comprato per 400 milioni di euro nel 2018 e rivenduto per 1,2 miliardi quattro anni dopo. Grazie a una strategia oculata che ha riportato un brand storico come quello rossonero a essere attrattivo, oltre che vincente.
 

Dal punto di vista strategico, inoltre, le squadre di calcio sono risorse uniche che attirano l'interesse di segmenti di persone e di pubblico significativamente grandi. Un club può essere uno strumento in mano a paesi, aziende o individui per aumentare la conoscibilità del marchio e migliorarne l'immagine pubblica. Analogamente alla motivazione precedente, i proprietari possono scegliere di capitalizzare le opportunità di branding e sponsorizzazione per altre aziende o prodotti che possiedono.
 

C’è da dire, però, che fare profitto in Italia non è scontato e non tutti hanno la fortuna e la bravura di Paul Singer, numero uno di Elliott. I motivi sono disparati. La stragrande maggioranza delle squadre di Serie A gioca in stadi obsoleti, che ostacola le entrate – i prezzi dei biglietti in Italia sono i più bassi d’Europa – e lo spettacolo. Inoltre, i progetti di ammodernamento sono oltremodo complessi da realizzare, proprio a causa della proprietà comunale degli impianti. Proprietà pubblica che rende più difficoltoso anche la costruzione di nuovi stadi. Le problematiche burocratiche si susseguono e rallentano, quando non bloccano del tutto i progetti. È accaduto alla Roma, sta succedendo a Milan e Inter. Anche perché, come dimostrano i successi nelle coppe europee, lo stadio di proprietà incide sulla possibilità di "investimenti" in calciatori delle società che poi effettivamente riescono mettere in bacheca trofei internazionali. Per capire quanto può fruttare un impianto di proprietà basta comparare i dati dei ricavi da stadio iscritti nei bilanci di Juventus, Milan e Inter (solo la prima ha una struttura sportiva privata). Dal 2013 al 2018 la media dei guadagni della squadra bianconera è stata di 43 milioni contro i circa 19 di Milan e Inter. Una differenza di 25 milioni. Senza contare l'affitto che le due squadre milanesi hanno dovuto versare nelle casse del comune (una media di 3,9 milioni ogni anno per l'Inter e una di 3,3 milioni per il Milan).
 

Negli ultimi dieci anni in Italia sono stati costruiti solo tre nuovi stadi  l’Allianz Stadium della Juve, la Dacia Arena dell’Udinese e il Benito Stirpe di Frosinone – rispetto ai 153 in Europa, secondo un recente rapporto della Figc. Il proprietario italo americano della Fiorentina, Rocco Comisso, ha dichiarato qualche mese fa a Forbes che "è il momento perfetto, si spera, per il sistema calcio italiano per capire che le cose devono cambiare se si vuole una Serie A competitiva con i campionati inglesi, spagnoli e tedeschi”. Competitiva e redditizia, aggiungiamo noi.

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